XIV legislatura
Seduta n. 297
Discussione congiunta dei disegni di legge:
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003) (1826)
Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2003 e bilancio pluriennale per il triennio 2003-2005 (1827)
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, signori relatori e signori del Governo, interverrò in particolare sul tema delle opere strategiche e degli investimenti infrastrutturali che in questa finanziaria, ovviamente, non trovano adeguate risposte, in particolare rispetto alle promesse che il Governo Berlusconi ha fatto sia in campagna elettorale che durante tutto questo anno e mezzo di governo, nel corso del quale è stata annunciata l’apertura di cantieri in ogni parte d’Italia, senza però avere a disposizione le risorse per realizzarli effettivamente. C’è, quindi, un fondo per le opere strategiche sostanzialmente identico a quello della legge finanziaria dell’anno scorso.
Non solo. Vengono viceversa aggiunti dei compiti. Voglio ricordarne due, positivi: la metanizzazione del Mezzogiorno e un fondo – peraltro non identificato con precisione negli importi – per l’adeguamento dell’edilizia scolastica, con particolare attenzione alle zone a rischio sismico. Questo per dire che il fondo straordinario per le opere strategiche è diventato il fondo dal quale attingere quando non si sa dove andare a recuperare risorse. Già le risorse erano ampiamente insufficienti, pur nella pro quota annuale, per la quale in questo piano decennale di grandi opere strategiche (dell’ordine di grandezza – ricordo – di 123 miliardi di euro nel decennio) nei tre anni era stato fissato un totale di 6,5 miliardi di euro, che però non aumentano in questa legge finanziaria.
Ciò significa che le semplificazioni, le accelerazioni, le valutazioni di impatto ambientale semplificate o le norme derogatorie, che ad esempio escludono gli enti locali dalle decisioni, non solo sono gravi sul piano delle decisioni e produrranno progetti di pessima qualità, ma si tratta altresì di progetti destinati a non essere realizzati. Si tratta, cioè, di una inutile accelerazione dei progetti cui non corrisponde una adeguata allocazione di risorse per far decollare con logica, con priorità e con senso i cantieri e le opere pubbliche di cui abbiamo maggiormente bisogno.
Questa limitatezza di risorse, aggravata anche dalla crisi economica italiana e internazionale, richiede una selezione delle priorità nella lunga lista delle opere strategiche (voglio ricordare che 250 opere dovevano rappresentare le grandi priorità italiane; si era partiti da una decina: la lista non solo si è allungata, ma si è estesa enormemente, distruggendo il concetto stesso di priorità).
È difficile, in questo contesto finanziario, in questa crisi economica, affermare che il ponte sullo Stretto (in un’area in cui dobbiamo ammodernare la Salerno-Reggio Calabria e raddoppiare la linea tra Palermo e Messina, che è ancora per due terzi a binario unico) rappresenta un’assoluta e strategica priorità, per la quale implementiamo una semplificazione procedurale su un progetto di grandissima delicatezza – come tutti gli studi e le esperienze internazionali dimostrano – che non rappresenta assolutamente l’esistenza di una priorità per la mobilità di quelle aree e nel rapporto tra Nord e Sud del Paese. Per questa ragione, chiediamo di eliminare il Ponte sullo Stretto dalle opere strategiche, perché non è tale; ovviamente la discussione può proseguire nel futuro, ma affermare che oggi esso sia strategico è assolutamente fuori luogo.
Così come riteniamo che insistere per la realizzazione dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, quando non si hanno a disposizione le risorse necessarie e non solo c’è una grande discussione sui tipi di tracciato possibili ma non si fanno nemmeno gli investimenti opportuni sulla rete ANAS (ammodernando, ad esempio, l’attuale Aurelia-bis), sia soltanto un modo di prorogare qualsiasi investimento e, alla fine, di non fare assolutamente nulla. Anche qui chiediamo di togliere tale autostrada dalle opere strategiche e destinare invece le poche risorse disponibili prioritariamente all’ammodernamento della rete ANAS.
Questa finanziaria ragionevolmente si preoccupa di dare qualche soluzione. Voglio, però, segnalare alcuni aspetti delicati di queste soluzioni – per così dire – creative ed innovative: non le voglio denigrare, ma voglio entrare nel merito.
Parliamo del FROP (certo, assomiglia molto a flop, ma non voglio insistere), il Fondo rotazione opere pubbliche. Qui si parla di un fondo che la Cassa depositi e prestiti deve costituire per anticipare la realizzazione di opere, una sorta – così ci ha riferito il direttore della Cassa depositi e prestiti in Commissione – di fondo che va dato come anticipazione da recuperare, soprattutto laddove i costi di gestione (quindi, a conto economico, non a costo investimento) non dovessero risultare così come previsto.
Ovviamente, l’idea è interessante perché far decollare un’opera che ha una sua redditività è sicuramente utile. La lite, poi, si sposta su cos’è utile e cos’è prioritario o redditizio, ma voglio segnalare il fatto che in Italia non siamo abituati ad analisi di redditività serie e che le valutazioni, ad esempio, in ordine alla coesione sociale che alcune infrastrutture inducono non risolvono il problema della redditività di determinate infrastrutture. Quindi, in realtà, questo fondo, diversamente da quello che dichiara di voler fare, rischia più che di anticipare di destinare risorse a fondo perduto, che magari in futuro, in caso di gestioni particolarmente positive, verranno recuperate.
Il secondo capitolo riguarda gli investimenti ferroviari. Questa finanziaria taglia le risorse previste dalle finanziarie precedenti per gli investimenti ferroviari e decide, direi anche in modo corretto, al di là delle polemiche sulla questione del patrimonio da attribuire alla Patrimonio dello Stato S.p.a. e alla Infrastrutture S.p.a., che una quota delle risorse che deve essere dedicata agli investimenti ferroviari venga dalla Infrastrutture S.p.a..
Anche qui rischiamo, innanzitutto, di non definire dei limiti. Credo, ad esempio, sia giusto completare e realizzare gli investimenti già in corso, che hanno bisogno di ingenti quantità di risorse. Voglio ricordare che la tratta Roma-Napoli è realizzata per l’80 per cento, la Bologna-Firenze per il 50-60 per cento e la Bologna-Milano per circa il 30 per cento.
Dobbiamo decidere – e la finanziaria non lo fa – che gli investimenti che riusciamo a recuperare anche in questo modo devono andare innanzitutto a completare le opere che sono in corso ed in particolare i nodi ferroviari, urbani e metropolitani. Infatti, è completamente insensato costruire linee che non arrivano in aree in cui ci sono adeguate infrastrutture di distribuzione urbana e metropolitana, a Roma, a Firenze, a Bologna, a Napoli e a Milano, proprio perché esse non daranno quei livelli di redditività che sono attesi.
Voglio ricordare che il testo ribadisce – e ciò è preoccupante, perché andrebbe quantificato un altro modo per posticipare, nel calcolo della contabilità pubblica, il debito pubblico – ammettendo che gli investimenti per l’alta velocità sono pesanti, che nel caso i flussi di cassa non siano sufficienti lo Stato assicura, proprio per non distruggere già dal suo nascere la Infrastrutture S.p.a., che si accollerà una buona parte del debito futuro. È come dire che stiamo investendo con la Infrastrutture S.p.a., ma ci stiamo anche garantendo che tutto quello che non verrà dai flussi di cassa o dalla Infrastrutture S.p.a. sarà direttamente erogato come garanzia dallo Stato.
Si tratta di opere finanziarie che costano mediamente 100 miliardi a chilometro e che, quindi, hanno costi elevati e livelli di redditività con tempi assai lunghi e non semplicissimi da quantificare nel medio periodo, come occorrerebbe fare per infrastrutture con queste caratteristiche.
Pertanto, credo che queste cifre andrebbero quantificate con precisione, perché stiamo rischiando di far decollare opere sbagliate (penso alla Milano-Genova, che dovrebbe comunque essere esclusa dall’uso, ad esempio, del fondo della Infrastrutture S.p.a., perché è un’opera veramente fuori da ogni logica di redditività). Dovremmo quindi concentrarci sulle tratte generalizzate e dovremmo anche identificare i costi del pagamento del debito, in modo che sia chiaro in futuro quanto andremo a pagare complessivamente come Stato per tutte queste operazioni, invece di rinviare semplicemente questi conti al futuro (operazione che peraltro è stata già fatta nei primi anni Novanta, ma che oggi si mostra in tutta la sua drammaticità ogni volta che dobbiamo reperire risorse vere e non solo garanzie o capitale di prestito che vuole comunque essere ovviamente ripagato).
Questa è una grande preoccupazione e mi auguro che la discussione in Aula serva, appunto, anche a chiarire questi aspetti, a meglio definire come destinare e circondare questa innovazione creativa nel campo degli investimenti ferroviari con qualche margine di certezza in più per tutti gli operatori del settore.
Un’altra questione riguarda l’ANAS. Io avevo già osservato che era anomalo, se non si spiega nella logica di un’eliminazione dai conti pubblici, che l’ANAS diventasse una società per azioni e non rimanesse invece un ente economico, com’era in precedenza; infatti, essendo un’azienda che sostanzialmente non ha incassi (perché gli unici incassi li hanno le concessionarie, che sono sostanzialmente già oggi società per azioni private), è chiaro come parlare di caratteristiche manageriali di gestione dei ricavi e delle spese in ANAS S.p.a. sia assolutamente fuori luogo.
Ma ciò che più mi preoccupa è un altro aspetto. Io capisco l’efficienza che deve attraversare sicuramente un’azienda con quelle caratteristiche, però mi preoccupa un aspetto in particolare: il fatto che si consenta (tra l’altro con una strana analogia, che non c’entra nulla, se si va a vedere il caso specifico) la costituzione di un fondo, a valere sul proprio netto patrimoniale, che l’ANAS S.p.a. è autorizzata a formare al fine di esercitare l’attività di manutenzione e provvedere al pagamento della rata di ammortamento dei propri mutui.
Io sono molto preoccupata perché non credo che si possa mettere il patrimonio netto in un fondo insieme ai residui passivi e consumarlo per fare la manutenzione. Credo quindi che dovremmo chiarire (anche in questo caso, mi auguro, dalla discussione d’Aula e dalla riflessione comune) come si alimenta di anno in anno questo fondo, senza svalutare di fatto il patrimonio di ANAS S.p.a. (in altra sede potrei spiegarvi come funzionava il fondo delle Ferrovie dello Stato: si trattava della ipervalutazione degli asset, che veniva messa in un fondo ai fini della ristrutturazione aziendale degli oneri per infrastrutture; quindi un caso completamente diverso: c’era un’autorizzazione perché esisteva un’ipervalutazione riconosciuta).
Inoltre, voglio segnalare il fatto che la rete stradale che abbiamo attribuito alle Regioni, che a loro volta mediamente l’hanno attribuita alle province, quindi ormai divenuta locale, non ha adeguate risorse (mentre parliamo di opere strategiche, di ponte sullo Stretto) per la manutenzione ordinaria e straordinaria.
Già esisteva un deficit enorme; ovviamente i trasferimenti che vengono erogati sono assolutamente insufficienti per mantenere quel livello di sicurezza e di manutenzione che sarebbe indispensabile; e mi pare che da tutte le province, gli enti locali, le Regioni, sia di centro-destra che di centro-sinistra, venga continuamente un grido di allarme per il fatto che non si riesce a mantenere i livelli di efficienza della rete che abbiamo assegnato, attraverso la regionalizzazione, in modo efficiente.
Vorrei concludere dicendo che cosa non c’è (e ce ne dispiace molto, e mi auguro che la discussione sia positiva) in questa legge finanziaria e che ci piacerebbe trovare: gli aiuti al cabotaggio. A fine anno scade l’autorizzazione alla detassazione per gli aiuti al cabotaggio, gli unici aiuti ammessi esplicitamente in sede europea ai fini della concorrenza, per evitare distorsioni anche in sede europea e come aiuto alla mobilità sostenibile.
Voglio ricordare che in questo momento siamo ancora in regime di aiuti all’autotrasporto, quindi non valgono le ragioni squisitamente economiche. Peraltro, noi sosteniamo che si potrebbero, ad esempio, attraverso l’introduzione della carbon tax, reperire quelle risorse, proprio perché anche noi crediamo che i saldi vadano rispettati. Sarebbe un modo per eliminare una serie di sussidi perversi tra diversi tipi di mobilità. È insensato che l’Italia aiuti l’autotrasporto, ostaggio com’è già del trasporto su gomma, e non aiuti invece il trasporto via acqua, in particolare quello via mare.
C’è una discussione aperta, ci auguriamo che nel maxiemendamento vi sia qualche risposta a questa sollecitazione che non viene solo dal mondo ambientale, ma anche, in generale, dal mondo di chi lavora e dalle imprese pubbliche e private in questo settore.
Un’altra preoccupazione: non vi sono risorse per la mobilità urbana, per l’innovazione tecnologica, la sperimentazione all’idrogeno, il parco autobus. Non è soltanto un problema di ammodernamento del trasporto pubblico, ma è anche un modo per dare certezze di politica industriale alle imprese italiane che lavorano in questi settori.
Infine, vi è la questione della legge n. 211 del 1992 per le reti tramviarie metropolitane, che non solo non vede alcun rifinanziamento (e mi rendo perfettamente conto che in tempi difficili non è semplice), ma i cui fondi, voglio ricordarlo, sono in parte messi a rischio dal cosiddetto decreto blocca spese o taglia residui, come dir si voglia. La legge n. 211 ha avuto un lungo iter, è stata semplificata ed è stata decentrata; sulla base di essa le città hanno realizzato numerosi progetti di tranvie e di metropolitane.
Tutte le grandi e medie città italiane rischiano, proprio quando sono in dirittura di arrivo, con le difficoltà che ci sono per la progettazione e per l’appalto (sono previsti determinati tempi, ci sono gare a livello europeo, ci sono ricorsi che vengono vinti, questo è il lento sistema italiano), che a fine anno una quota di queste risorse, come tutti gli operatori delle città, gli assessori ma anche le imprese hanno segnalato, venga rastrellata.
Credo sarebbe opportuno un chiarimento, per evitare accuratamente questo rischio, almeno per quelle infrastrutture che sono già in dirittura di arrivo. Infatti, le nostre città, a partire da Roma, hanno urgente bisogno di ampliare le proprie reti metropolitane e di realizzare le reti tranviarie.
Voglio concludere augurandomi che questa discussione in Aula sia una discussione vera. Ho già specificato che la questione della copertura è un aspetto altrettanto importante rispetto a quello delle spese aggiuntive o delle detassazioni che noi proponiamo. Crediamo, ad esempio, che con un adeguato ripristino della carbon tax si possano coprire tutte le spese positive da noi auspicate. Questo sarebbe anche un modo diretto per scoraggiare alcune modalità di trasporto o di investimento sbagliate e favorire invece comportamenti virtuosi, che devono ovviamente attraversare sia il mondo dell’impresa privata che quello degli enti locali, e, in generale, quello delle amministrazioni dello Stato.
Seduta n. 305
Mercoledi 18 Dicembre 2002
Discussione articoli
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, rispetto al complesso degli emendamenti da noi presentati, voglio illustrarne due.
Il primo di essi, il 54.15, è relativo alla missione di Infrastrutture S.p.A.. Com’è noto, l’articolo 54 attribuisce a questa società neocostituita per le grandi infrastrutture, l’obbligo di realizzare l’alta velocità ferroviaria. Se da un lato quest’obiettivo in termini strategici è condivisibile, preoccupa che la missione sia assai estesa in alcune aree del Paese ed escluda sostanzialmente il Mezzogiorno.
Con questo emendamento, chiediamo di limitare l’obiettivo sostanzialmente alle tratte già cantierizzate, cioè il tratto Torino-Milano-Bologna-Firenze-Napoli, e quindi, trattandosi di un progetto molto costoso che mette a rischio lo stesso equilibrio economico-finanziario di Infrastrutture S.p.A., attribuire a detta società una missione più circoscritta, relativamente alle tratte già cantierizzate, ma che non hanno risorse sufficienti per essere completate. Invece di cominciare nuovi cantieri dal destino altamente incerto, è bene completare quelli in corso. Questo è il senso dell’emendamento 54.15.
Vorrei poi illustrare l’emendamento aggiuntivo 54.0.12, che riguarda le reti metropolitane e tranviarie delle città italiane. Il decreto “blocca-spesa” o “taglia-residui” di Tremonti, approvato da Governo e Parlamento, fa sì (è in corso una trattativa, ma sicuramente i rischi sono enormi) che una quota delle risorse non ancora impegnate in appalti da parte delle città per questi due obiettivi, cioè le reti metropolitane e tranviarie, possa a fine anno rientrare nella più generale ricognizione dei residui non spesi. L’ordine di grandezza viene stimato intorno ai 5.000 miliardi di vecchie lire, su un totale di 15.000 miliardi, tra risorse dello Stato e risorse degli enti locali, che insieme concorrono al finanziamento di queste opere.
Credo che le nostre città siano talmente congestionate e abbiano così bisogno di realizzare queste infrastrutture, ovviamente in modo accelerato, che togliere risorse per questi scopi sia assolutamente fuori luogo e sbagliato.
Per questa ragione, propongo che sia sostanzialmente esclusa questa eventualità e vengano mantenuti anche per l’anno 2003 questi residui, in modo da consentire a tutte le grandi e medie città italiane di proseguire, fino ad arrivare all’appalto, e concludere la realizzazione di queste urgenti infrastrutture per la mobilità delle nostre città.