XIV legislatura
Seduta n. 135
Conversione in legge del decreto-legge recante misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale (A.S. 1125)
Discussione generale
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, i Verdi su questo decreto-legge dal titolo inequivocabile – “Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale” – sono e restano fermamente contrari. Quali sono le ragioni fondamentali per cui, nonostante i significativi miglioramenti ottenuti nella discussione in Commissione, resta un parere fortemente motivato contro tale provvedimento?
Innanzitutto la questione agitata del black-out elettrico e dell’emergenza energetica. Abbiamo ripetutamente chiesto in Commissione, anche al ministro Marzano, di documentare sulla base di dati e numeri questa emergenza energetica che giustificherebbe addirittura l’uso, assolutamente straordinario, di un decreto-legge.
In realtà, si è parlato di una generica preoccupazione circa la sussistenza del problema che nel giro di due o tre anni ci metterebbe in serio pericolo rispetto ai nostri consumi energetici e alle nostre riserve strategiche, ma non sono stati forniti dati e numeri puntuali su come e dove tutto questo dovrebbe accadere, inficiando il nostro sistema economico e produttivo, nonché i consumi individuali dei cittadini italiani. Probabilmente il Ministro ha in mano dati e documentazioni che non sono stati comunicati in Commissione.
Lo stesso amministratore delegato dell’ENEL ha avuto modo di ribadire in più occasioni, anche in Parlamento, che basterebbe un modesto incremento della capacità per sostenere la domanda di energia nei prossimi anni. L’amministratore delegato dell’attuale azienda monopolista, che va verso un processo di liberalizzazione nel settore elettrico, al quale tutti crediamo, ha espresso quindi parole di tutt’altro tenore rispetto al black out elettrico.
Pur depurando tali parole dal possibile vizio di origine, cioè pur tenendo conto del fatto che è evidente che un monopolista, il quale in futuro non sarà più tale, tende a non incrementare la capacità a favore di altri – comprensibile atteggiamento di resistenza da parte di un’azienda pubblica ai processi di liberalizzazione – appare evidente la distanza tra l’ipotesi di black out elettrico, posta a giustificazione del decreto-legge, e le parole estremamente rassicuranti dell’amministratore delegato dell’ENEL. Questo, se da un lato dà luogo a qualche preoccupazione, trattandosi comunque di un problema serio e considerati i consumi crescenti, dall’altro evidenzia sicuramente come sia ingiustificato allo stato attuale l’invocare un decreto-legge per costruire nuove centrali.
E’ proprio questo il problema. In assenza di numeri inequivocabili e di un piano strategico nazionale nel settore energetico, che indichi qual è la strategia del Governo da qui ai prossimi cinque anni, nei quali esso è chiamato a governare il Paese, non è evidente una strategia nel settore energetico ed elettrico dei consumi. In attesa di ciò si chiede comunque al Parlamento di costruire in gran fretta nuove centrali, fuori da una strategia di piano e con dei processi di deregolamentazione e semplificazione assolutamente inaccettabili, sia per i poteri che attualmente la Costituzione attribuisce a Regioni ed enti locali, sia per la mancata e puntuale valutazione ambientale.
Questa è la prima obiezione fondamentale: non sono dimostrati, e non sussistono a nostro avviso, i motivi di preoccupazione che vengono invocati. Ovviamente esistono problemi di incremento della domanda dei consumi energetici, ai quali tuttavia occorre dare una risposta che sia realmente strategica, che coniughi le politiche del Governo in questo settore (che è primario e strategico) con altre questioni che sono oggetto di discussione presso il Parlamento e le comunità locali.
Intendo dire che sarebbe illogico che il Governo proponesse la costruzione di nuove centrali senza collegare tale proposta ad una corretta identificazione delle questioni ambientali connesse, non soltanto in termini di valutazione di impatto ambientale, che resta comunque l’ultimo strumento di vaglio delle singole centrali, ma anche in relazione alle posizioni assunte dallo stesso Governo italiano. Bene ha fatto – e i Verdi hanno applaudito tale iniziativa – il ministro Matteoli che in sede europea ha sottoscritto il protocollo di Kyoto per la riduzione dell’effetto serra entro il 2012.
Riteniamo che questo atteggiamento, giusto, cauto e positivo, abbia implicazioni anche sul piano interno rispetto agli impegni che devono essere assunti, ad esempio, in merito ai consumi energetici e ai processi di combustione, sui quali sicuramente il settore energetico, insieme a quello industriale e a quello dei trasporti, influisce in modo decisivo.
Nel decreto-legge in esame non vi è alcun riferimento ad obiettivi ambientali, non viene richiamato il protocollo di Kyoto, non si parla di riduzione complessiva delle emissioni in atmosfera volta a migliorare la qualità dell’aria nelle nostre realtà territoriali (emissioni che si sommano ad altri tipi di inquinanti come il traffico veicolare). Pur riconoscendosi che esiste la necessità di pianificare una soluzione per la questione dell’incremento dei consumi energetici, non è delineato alcun piano strategico che punti sulle energie rinnovabili, sulla diversificazione delle fonti, sulle fonti pulite, sulla ricerca e l’innovazione. Pensiamo a tutto il capitolo che si sta aprendo sull’idrogeno, su come l’uso delle biomasse possa essere incrementato senza mettere a repentaglio la nostra agricoltura ed i suoi obiettivi di qualità che, anche nelle Aule parlamentari, vengono più volte richiamati dagli esponenti del Governo.
Non troviamo nulla di tutto ciò nel decreto-legge, neanche sullo sfondo, né sono state fornite risposte. È chiaro come tutto il nostro sistema di produzione e consumo tenda ad incrementare, anche attraverso il sistema delle tariffe, efficienza e risparmio energetico nei diversi comparti in cui i consumi energetici avvengono.
A questa nostra obiezione il ministro Marzano, in Commissione, ha risposto invitando a stare tranquilli e assicurando che si realizzeranno soltanto nuove centrali a turbogas, abbandonando i progetti precedentemente immaginati di centrali a carbone o ad olio combustibile. È sicuramente una buona notizia che però non è di per sé risolutiva.
È noto infatti che le centrali a turbogas risolvono alcuni problemi di emissione, ma non altri (tra cui quello riferito alla CO2). E’ evidente che incrementare la potenza energetica o il rendimento elettrico in assenza di piani di risparmio che puntino su energie e fonti rinnovabili contiene in sé un limite strategico, per cui, praticamente, non si guarda oltre i prossimi due o tre anni, mentre molti altri Paesi stanno investendo su tecnologie diverse pur considerando i rendimenti e l’efficienza.
Proprio per queste ragioni avevamo chiesto di inserire – e su ciò mi permetto di insistere anche in questa sede – la previsione che per tutte le proposte di nuove centrali che saranno formulate sulla base del decreto-legge in esame fosse non solo effettuata, caso per caso, la valutazione di impatto ambientale, ma venisse anche realizzata una valutazione ambientale strategica volta ad identificare la cornice entro cui devono essere effettuate le verifiche e rilasciate le autorizzazioni.
Che cos’è la valutazione ambientale strategica? È un sistema che consente, sia al proponente, in genere un soggetto privato, sia alla parte pubblica, ovvero a chi deve valutare e autorizzare, di semplificare decisamente i processi. Per questo non siamo d’accordo con le dichiarazioni con cui il Ministro ha respinto in Commissione la valutazione ambientale strategica sostenendo che essa avrebbe fatto perdere ulteriore tempo. Al contrario, valutazione ambientale strategica avrebbe consentito a monte di semplificare e ridurre il numero di progetti sui quali indagare, favorendo così sia il proponente, che deve investire in progettazione e in processi autorizzativi, sia la parte pubblica, che deve poi valutare tali progetti.
Pertanto, se fosse stata definita prima la cornice ambientale – le tipologie, gli ambiti territoriali, i sistemi di produzione e di consumo connessi ai singoli bacini, rispetto a chi produce e a chi esporta – ovviamente in un quadro di solidarietà e sussidiarietà a livello nazionale (perché non può che essere così nel settore energetico), credo si sarebbe ridotta di molto la proliferazione dei progetti, i quali, anche se verranno purtroppo autorizzati, in buona parte non verranno poi realizzati. Infatti, ormai le proposte di centrali che si “aggirano” sui nostri territori sono circa 309 ed è inimmaginabile che il nostro Paese autorizzi e realizzi nel nostro contesto una simile quantità di progetti, alcuni dei quali sono gli stessi riproposti in diversi comuni. Quindi, una valutazione ambientale strategica che avesse identificato la cornice e considerato, area per area, l’insieme dei problemi esistenti, avrebbe aiutato tutti a scegliere meglio ed anche, io aggiungo, più in fretta.
Voglio citare il caso di un territorio che conosco bene, quello mantovano, il cui quadrante Est, che misurerà più o meno 30 chilometri per lato e dove già esistono due centrali ad olio combustibile (attualmente in conversione verso il turbogas), è interessato da quattro proposte di centrali che sostanzialmente dovrebbero insistere su tre Regioni, quattro province limitrofe ed una decina di comuni.
È inimmaginabile che in territori già gravati si possano rilocalizzare o insediare nuove centrali.
Con questo provvedimento corriamo il rischio che ogni singolo impianto possa superare la valutazione di impatto ambientale, perché di per sé rispetta i parametri per le emissioni in atmosfera, le localizzazioni e le infrastrutture connesse, ma che non vi sia uno strumento che ci consenta di valutare la sommatoria dei diversi impianti che vengono proposti su un territorio, su un bacino in cui si muovono dei cittadini reali, con la loro vita e con il loro diritto alla qualità della stessa, in modo da poter selezionare, appunto, il grado di sostenibilità di queste centrali.
Peraltro, l’invocazione con cui è stato respinto il nostro emendamento è assolutamente di parte; il ministro Marzano sostiene che dato che la valutazione ambientale strategica, come noi la chiedevamo, è già recepita nella legge comunitaria 2001 che abbiamo appena approvato ed il Governo ha un anno di tempo per farne partire l’applicazione tramite un decreto legislativo attuativo, anticiparla vorrebbe dire far perdere del tempo a questo provvedimento e ciò è impensabile.
Voglio ricordare (per questo dico che è veramente un’interpretazione di parte) che nello stesso decreto-legge viene richiamata un’altra direttiva, la 96/61/CE, per l’autorizzazione ambientale integrata, che praticamente è nella stessa, identica condizione di quella sulla valutazione ambientale strategica.
Si tratta di una direttiva che autorizza un sistema unico di valutazione e autorizzazione in campo ambientale; una direttiva giusta, il cui recepimento in questo caso viene anticipato, laddove nel caso della valutazione ambientale strategica si invoca una perdita di tempo che in realtà non sussisterebbe. Ci dispiace questa valutazione difforme per cui quando le direttive europee danno l’impressione di semplificare i processi ne viene anticipato il recepimento nella nostra normativa rispetto ai tempi concordati; quando invece si ha la percezione – ripeto, assolutamente inesatta – che non si conseguirebbe alcuna semplificazione ciò non avviene.
Mi permetto di insistere anche in quest’Aula sul fatto che certe anomalie, certe concentrazioni in alcuni territori potranno essere verificate in modo equilibrato dal soggetto pubblico che dovrà valutare le varie proposte dei privati soltanto se esso disporrà dello strumento della valutazione ambientale strategica.
Il terzo argomento che voglio toccare riguarda i poteri attualmente attribuiti a Regioni e comuni in merito agli impianti di localizzazione. Questo decreto-legge concentra presso il Ministero delle attività produttive qualsiasi processo autorizzativo, stabilendo che tutto avverrà d’intesa con le Regioni e che nell’ambito della Conferenza dei servizi saranno sentite le amministrazioni interessate.
Non siamo d’accordo in merito a questo esproprio di poteri a danno delle Regioni e degli enti locali. Anche recentemente, la legge n. 3 del 2001 ha nuovamente chiarito che il settore energetico rientra nella potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, poiché su di esso evidentemente devono intervenire processi differenti.
Se, da un lato, è giustissimo che la competenza sulla strategia e sul piano energetico sia, da subito e in prospettiva, attribuita al Governo come potere centrale di indirizzo e di equità nazionale; dall’altro, la competenza per tutto ciò che riguarda i processi di localizzazione e di autorizzazione è attualmente attribuita alle Regioni, con chiare prerogative, ad esempio nel campo delle varianti urbanistiche, attribuite ai comuni.
Con questo provvedimento questo disegno viene indebolito. Le Regioni non sono più titolari della concessione delle autorizzazioni, ma intervengono “d’intesa”; i comuni vengono sentiti nella Conferenza dei servizi che, voglio ricordarlo, può decidere a maggioranza; inoltre, fatto che riteniamo ancora più grave, si specifica che il processo autorizzativo del Ministero delle attività produttive sostituisce e supera la procedura di variante urbanistica, riassorbendo in questo modo anche i processi autorizzativi locali, che sono sempre indispensabili e che rientrano nelle specifiche prerogative attribuite dalla Costituzione ai comuni e agli enti locali.
In Commissione sono intervenuti alcuni miglioramenti, ma resta un sostanziale indebolimento degli enti locali che non saranno chiamati a decidere per ciò che riguarda il proprio territorio. Sulla base delle tante esperienze di battaglie, di impegno ma anche di responsabilità in questi anni, riteniamo, come abbiamo già ribadito nel caso della cosiddetta legge obiettivo, che riguarda infrastrutture lineari ma anche impianti produttivi strategici, che realizzare grandi impianti o grandi infrastrutture contro il parere degli enti locali o cercando scorciatoie procedurali non porti da nessuna parte.
Avviandomi verso la conclusione, vorrei sottolineare che la discussione è stata molto accesa ed ha portato, lo voglio riconoscere, anche a modifiche significative; il che valorizza il lavoro svolto in queste settimane dalla Commissione industria. È stata introdotta la VIA ordinaria, sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3/7 del 1988, che prevede comunque un termine che scade il 31 dicembre 2003. Non è stato approvato l’emendamento che riguardava la carbon tax. Restano però, e questo è il motivo per cui speriamo ancora in un voto diverso dell’Aula, le tre questioni fondamentali che ho posto: la valutazione ambientale strategica; l’esproprio dei poteri degli enti locali in materia di localizzazione; la mancanza di una strategia complessiva nel settore energetico che punti sulle energie pulite e rinnovabili, come strategia del futuro, nel rispetto degli obiettivi del protocollo di Kyoto.
Queste sono le ragioni per cui, da un lato, siamo ovviamente contenti per alcune modifiche ottenute in Commissione, dall’altro, il nostro giudizio sul decreto-legge resta pesantemente negativo; per tale ragione chiediamo ancora a quest’Aula di apportarvi ulteriori modifiche. (Applausi dal Gruppo Verdi-U e della senatrice De Zulueta).