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Mobilità, infrastrutture, ambiente: la transizione giusta per la sostenibilità

Marcia indietro su appalti, stop arbitrati d’oro

3 Marzo 2005

IL SOLE 24 ORE – Norme e tributi

Marcia indietro sugli appalti: stop agli arbitrati d’oro
Bocciato il ritorno dei compensi senza limiti
Valeria Uva

ROMA * Scongiurato il rischio del ritorno agli <arbitrati d’oro> negli appalti. Non sarà possibile ricorrere ai giudici privati per risolvere le liti tra amministrazione e imprese sugli appalti e stabilire in modo del tutto libero i compensi.
Il Senato ha cancellato dal decreto legge 7/2005 sull’Università e le grandi opere l’emendamento approvato dalla commissione Cultura, che ripristinava il rito libero per gli arbitrati nelle opere pubbliche.
In realtà l’emendamento (a firma di Luigi Compagna e Luigi Grillo, presidente della commissione Lavori pubblici) è stato ritirato prima ancora di essere messo in votazione. La maggioranza ha rischiato di venire battuta: sulla modifica anche frange di An e della Lega avevano espresso forti malumori.
L’emendamento Compagna-Grillo ripristinava il vecchio regime degli arbitrati, cancellato dal Regolamento appalti (Dpr 554/1999) a partire dal 2000. Ammetteva cioè la possibilità di un rito del tutto libero, dove le parti potevano scegliere sia il proprio giudice che il terzo arbitro, presidente del collegio. In questo caso si sarebbero applicate le regole del Codice di procedura civile che nulla dice sui compensi. Solo nell’ipotesi (residuale) di disaccordo tra i litiganti sulla scelta del terzo arbitro sarebbe tornata in campo la camera arbitrale. E il rito sarebbe stato quello attuale: nomina del presidente da parte della camera e procedura stabilita da un apposito regolamento (Dm 398/2000). Ma ciò che più conta: solo il rito amministrato dalla camera arbitrale è soggetto a tariffe fisse, calmierate rispetto a quelle di mercato.
Tra i primi a criticare l’arbitrato libero, l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici. Presidente e consiglieri hanno inviato un formale atto di segnalazione a Governo e Parlamento, molto duro nei confronti della proposta. L’Authority ha messo in guardia sul fatto che dal nuovo rito sarebbero scaturiti <gravi oneri per le finanze delle stazioni appaltanti, il più delle volte soccombenti in giudizio, a causa delle maggiori spese derivanti dall’espletamento dell’arbitrato non amministrato>.
A dare battaglia in Senato ci ha pensato anche l’opposizione e in particolare la senatrice Anna Donati (Verdi): <Era una proposta che rischiava di riportarci agli anni di Tangentopoli. Abbiamo evitato il ritorno al far west, quando spesso il conflitto diventava pretesto per una vera e propria tangente legalizzata tra settore privato e settore pubblico>.
Con il ritiro dell’emendamento la situazione resta quella attuale: l’arbitrato negli appalti è gestito dalla camera arbitrale. Non senza problemi, però. Di fatto sul giudizio ha pesato e pesa ancora una sentenza del Consiglio di Stato dell’ottobre 2003, che ha dichiarato in parte illegittima la procedura, perché non lasciava libere le parti di scegliersi il presidente del collegio. Da quella sentenza il ruolo della camera arbitrale è uscito ridimensionato: ora impresa e Pa scelgono liberamente il terzo arbitro, ma la procedura e l’assistenza sono ancora quelli amministrati dalla camera. Il tutto però senza una chiara indicazione normativa.

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