Mobilità, infrastrutture, ambiente: la transizione giusta per la sostenibilità

DPEF 2006-2009

26 Luglio 2005

XIV legislatura

Seduta n. 854

Doc. LVII, n. 5) Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2006-2009

DONATI (Verdi-Un). Signor Presidente, colleghe e colleghi, Governo e relatore, anche quest’anno la politica delle infrastrutture e delle grandi opere è stata annunciata – ma purtroppo solo annunciata – come elemento rilevante del Documento di programmazione economico-finanziaria 2006-2009 e della futura manovra economica. In realtà, siamo ancora nel campo degli annunci e in questo settore non si fa alcuna operazione verità, continuando a promettere, in modo illusorio e a volte anche sbagliato, nuovi cantieri.

Quanto all’allegato del DPEF relativo alle infrastrutture, si tratta di un documento vuoto e celebrativo, che per legge dovrebbe invece fare il punto esatto sulla politica e sull’attuazione delle grandi opere. Fino a pagina 72 si parla genericamente della politica dei trasporti e la cosa più paradossale è che si parla di quella politica dei trasporti che il Governo avrebbe dovuto fare e non ha fatto, chiamando in causa esplicitamente l’assenza di strategie di sostegno alle politiche per le città e per la logistica integrata. Vi sono ancora venti pagine – lo dico con intento ironico – in cui si parla di politiche che saranno adottate nella prossima legislatura; credo che ogni commento su questa parte sia completamente inutile.

Si arriva finalmente alla verifica delle grandi opere, con i soliti numeri annunciati dal Governo Berlusconi e sbandierati a più riprese dal ministro Lunardi, ma i conti non tornano, da qualsiasi punto di vista siano letti. Nel Documento è scritto che sono state approvate dal CIPE opere preliminari pari a 59 miliardi di euro, ne sono state cantierate in quattro anni per 32 miliardi, di cui solo 8,1 miliardi di euro finanziati con risorse straordinarie della legge obiettivo del Governo Berlusconi.

Questo dato dimostra che, per la maggior parte, si tratta di investimenti ordinari, già previsti da piani finanziari dell’ANAS, delle concessionarie, delle ferrovie, dei fondi strutturali, da leggi specifiche che erano già in corso. Mancano quindi all’appello risorse per aprire i cantieri pari a 27 miliardi di euro, in relazione ad opere già approvate dal CIPE, quelle stesse opere che Berlusconi chiama opere attivate, cercando di mistificare la realtà con la fantasia.

Per coprire questo vuoto di risorse nell’Allegato sulle infrastrutture il Ministro dei trasporti avanza la richiesta di avere nella prossima legge finanziaria 2006 risorse, nel triennio, pari ad 8 miliardi di euro. Ricordiamo che l’anno scorso il Ministro aveva avanzato la richiesta di 7,2 miliardi di euro e nella legge finanziaria 2005 le risorse furono pari a zero.

Infine, si conclude con roboanti annunci che nei prossimi dodici mesi la cantierizzazione per opere è pari a 39 miliardi di euro aggiuntivi. Tra queste, ricordo il Ponte sullo Stretto di Messina, autostrade come la BreBeMi (Brescia-Milano), il TiBre (Parma-Verona) e pezzi di alta velocità come la Milano-Genova e la Milano-Verona, infrastrutture di grande impatto e di grandi costi.

Praticamente, il Governo Berlusconi promette di cantierare nei prossimi sei mesi più opere rispetto a quelle che ha cantierato nei quattro anni e mezzo di Governo, già sostenute da questo stesso Governo; promesse di per sé impossibili.

Quindi, continua la strategia di annunciare opere e inaugurare cantieri più volte per la stessa opera. Purtroppo, in questo momento, i cittadini possono vedere realisticamente che gli unici grandi cantieri aperti che procedono speditamente sono quelli dell’alta capacità ferroviaria finanziati e avviati dai Governi precedenti.

Era lecito aspettarsi, come ultima finanziaria di un Governo che va in scadenza, che almeno in questo Documento si facesse un’operazione di rigore e di verità proprio per motivare e spiegare quali sono le vere opere davvero utili che il Governo intende veramente realizzare.

Sarebbe stato opportuno un Documento, ad esempio, che aggiornasse i costi del Piano delle grandi opere. Il CIPE ha già stabilito che il Piano da 125 miliardi della legge-obiettivo del dicembre 2001 adesso costa almeno 177 miliardi di euro, ma di questo nel Documento al nostro esame non c’è traccia. Così come si continuano ad aggiungere opere alla lista, invece di fare l’operazione opposta, cioè selezionare le infrastrutture in modo realistico e coerente, sulla base delle risorse effettivamente disponibili.

Infine, un altro elemento critico: non c’è alcuna correlazione tra gli investimenti annunciati nei prossimi mesi e la sbandierata politica o esigenza di sostenere le città, la logistica, i porti ed il cabotaggio, che diventano anche nel Documento di programmazione delle priorità. Voglio ricordare che, per le città, gli investimenti approvati sono soltanto il 6 per cento degli investimenti totali sui famosi 59 miliardi.

Venendo al vero e proprio Documento di programmazione economico-finanziaria alla nostra attenzione, nessun richiamo stringente ad una strategia credibile e misurabile viene proposto in relazione al fabbisogno finanziario, alle richieste del Ministro dei trasporti e delle infrastrutture e a criteri di selezione che possano garantire l’avvio di cantieri utili e certi nei prossimi mesi.

Si parla genericamente (a pagina 50 del Documento) di opere infrastrutturali, con priorità a quelle portuali, e si promette uno “specifico progetto per le aree metropolitane”. Poi, però, in altra parte del Documento, si insiste, ad esempio, nel voler cantierare entro il mese di giugno 2006 il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, che è esattamente l’opposto e in concorrenza con il traffico di cabotaggio e la portualità e la logistica integrata per il traffico delle merci Nord-Sud e per quella strategia di raccolta delle merci dal lontano Oriente che non può che avvenire via mare.

Questi sono gli elementi fortemente critici di numeri che non tornano, di promesse non mantenute, di progetti spesso sbagliati cui si continuano ad aggiungere liste, invece di fare una selezione, sulla base di criteri rigorosi e trasparenti, annunciando altri 39 miliardi di cantieri, di cui nessuno, per fortuna, vedrà la luce.

Ovviamente, vi è un altro aspetto molto più occulto ed omissivo in questo Documento che merita di essere discusso in Aula. Nell’allegato sulle infrastrutture vi sono anche tre pagine dedicate all’ANAS ed alla possibile tariffazione-ombra di 4.200 chilometri di strade statali per incassare subito risorse e per portare fuori del bilancio dello Stato l’ANAS spa.

Come ricorderete, già lo scorso anno ebbe luogo una grande discussione su questo tema e sulla tariffazione delle strade statali; poi, intervenne la legge finanziaria, che alla fine aveva assicurato che ANAS potesse trasferire ad ISPA questa rete, ma Bruxelles, ovviamente, non ha ritenuto che ciò fosse sufficiente ad escludere l’ANAS dal perimetro del bilancio dello Stato e quindi, come avevamo prospettato, si è creato un buco di 3 miliardi di euro in più nel bilancio dello Stato che deve essere coperto.

Adesso, con quanto è scritto in modo omissivo in questo Documento di programmazione economico-finanziaria, si propone di lasciare questi 4.200 chilometri di strade statali trafficate in concessione all’ANAS, a fronte di un pagamento una tantum di 3 miliardi di euro, peraltro senza specificare chi darà questi soldi all’ANAS per pagare tale costo.

L’ANAS spa torna ad avere, in questo modo, più del 50 per cento degli introiti dei pedaggi-ombra da parte dello Stato, quindi ottiene questo incasso, e ciò dovrebbe consentirle, sulla carta, di uscire dal perimetro della pubblica amministrazione.

Infine, sempre secondo quanto previsto, l’ANAS si accolla il rischio di gestione e realizzazione di interventi, nei prossimi dieci anni, per un importo pari a 35 miliardi di euro, senza che venga specificato da dove potrebbero derivare queste ingentissime risorse, mediante, peraltro, un contratto di servizio da stringere con lo Stato.

E’ evidente che, così come viene scritto in queste pagine ed è configurato, il meccanismo di nuovo non torna. Non ne deriverebbero quei vantaggi per la finanza pubblica, per Bruxelles, per escludere dal perimetro l’ANAS spa e – come viene discusso in molte sedi – per aumentare l’efficienza della gestione della rete stradale.

Infatti, manca – e questo credo sia un aspetto grave del Documento – un altro capitolo, un altro comma di questa strategia, di questa proposta; mi riferisco alla possibilità – successiva, ovviamente e che non viene dichiarata – per l’ANAS di costituire società con i privati per la rete in concessione più trafficata.

C’è quindi un rischio concreto, per quanto non scritto nel DPEF, e comunque reale, di privatizzazione di 4.200 chilometri di rete stradale alla quale i Verdi dichiarano subito la loro contrarietà per due semplici ragioni. La prima è che si ritiene che non si possa privatizzare una rete di collegamento fondamentale, una armatura pubblica che garantisce accessibilità e coesione sociale nelle varie parti del Paese; la seconda è che non è in questo modo, con concessioni lunghe, nell’ambito di un rapporto tra pubblico-privato, che si renderà più efficiente la manutenzione e la gestione delle strade statali.

Desidero ricordare che i privati che oggi hanno in concessione praticamente quasi tutta la rete autostradale ce lo dimostrano continuamente, risparmiando sulla sicurezza e sulla manutenzione della rete, senza migliorare i servizi ai propri clienti.

Riteniamo che solo da contratti di servizio triennali di gestione, messi a gara, con una struttura dell’ANAS capace di controllare seriamente la qualità di tali contratti di servizio, con una rete che resta in concessione all’ANAS, sia possibile coinvolgere anche i privati per migliorare la manutenzione della rete, ma è esattamente l’opposto di quello che vorrebbe (o annuncia di voler fare, ma non ha nemmeno il coraggio di scrivere) il Governo.

Concessioni lunghe, rapporto pubblico-privato, società miste: ebbene, stiamo preparando le future inefficienze in cui lo Stato continuerà a pagare in qualche modo e i privati potranno incassare e trarre profitti da questi pedaggi-ombra mentre per il momento (ma solo per il momento) sembrerebbero esclusi pedaggi sulla rete stradale ANAS.

In questo modo non si andrebbe verso l’efficienza, né in direzione dell’uscita dell’ANAS dal perimetro del bilancio dello Stato, ma si creerebbero le premesse per una privatizzazione strisciante della rete stradale. Ci auguriamo che nel prosieguo della discussione, sia in occasione del voto sul Documento di programmazione economico-finanziaria, sia durante l’esame della futura legge finanziaria, si ponga mano ai correttivi, ai due principali temi che abbiamo posto con questo nostro intervento: selezionare le opere strategiche e decidere seriamente e con i criteri richiamati cosa serve davvero e a questo destinare le poche risorse disponibili; in secondo luogo, evitare la privatizzazione di 4.200 chilometri di strade stradali, che costituiscono un patrimonio fondamentale.

Ci auguriamo di trovare ascolto e che si apportino profondi correttivi a questa strategia sbagliata per la politica dei trasporti proposta dal Governo Berlusconi.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e garantire il corretto funzionamento del sito. Continuando a utilizzare questo sito, riconosci e accetti l'uso dei cookie.

Accetta tutto Accetta solo i necessari