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Mobilità, infrastrutture, ambiente: la transizione giusta per la sostenibilità

Decreto pet-coke

10 Aprile 2002

XIV legislatura

Seduta n.154

Conversione in legge del decreto-legge recante disposizioni urgenti per l’individuazione della disciplina relativa all’utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione (A.S. 492)
Dichiarazione di voto

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, colleghe e colleghi, desidero annunciare il voto contrario del Gruppo dei Verdi alla conversione del decreto-legge in esame, che sana, attraverso la modifica della definizione di rifiuto del pet-coke, la situazione di grave allarme ambientale, oltre che occupazionale, che si era creata nella raffineria ENI di Gela.
Riteniamo che la soluzione adottata, cioè quella di modificare il concetto di rifiuto, da cui viene escluso il pet-coke, per farlo diventare un semplice combustibile da impianto energetico, non abbia semplicemente, purtroppo, una valenza nominale – se così fosse non avremmo obiezioni – ma equivalga a modificare profondamente i limiti delle emissioni, che conseguentemente devono essere controllati.
Il decreto-legge in esame non è stato emanato a caso, ma per riaprire gli impianti di Gela che, secondo quanto emerso dalle inchieste della magistratura, superavano ogni limite consentito dalla normativa in materia di emissioni inquinanti; soltanto a titolo di esempio, il limite che a seguito dell’approvazione di questo provvedimento sarà consentito per l’emissione di ossidi di zolfo nelle centrali termiche è ben cinque volte superiore (1.700 mg per metro cubo) rispetto a quello previsto per gli inceneritori (che non supera i 300 mg per metro cubo).
Ciò significa che si sta derogando per legge a una normativa italiana e comunitaria soltanto per consentire la riapertura di impianti in questo momento fuori legge.
Viene invocato il decreto sostenendo che la normativa italiana sarebbe troppo restrittiva rispetto anche a quanto si prevede in altri Paesi europei e nelle stesse normative comunitarie, ma ciò non corrisponde ad un dato reale. Infatti, analizzando la normativa europea, emerge chiaramente che il coke da petrolio rientra sicuramente tra i rifiuti ed è incluso nel catalogo europeo dei rifiuti di cui ci si disfa attraverso un’attività di recupero energetico, così come ha correttamente recepito in Italia il decreto-legge n. 22 del 1997, che appunto stiamo modificando con questo provvedimento.
Inoltre, numerose sentenze della Corte europea, a partire dal 1990, riguardo alla specifica questione della nozione di rifiuto hanno chiarito più volte come essa non consenta affatto che i residui industriali avviati al riutilizzo siano svincolati dai controlli e dagli obblighi previsti per i rifiuti. Questo, ad esempio, stabilisce una sentenza della Corte di giustizia del 25 giugno 1997.
Ancora, si citano i documenti europei per giustificare questo provvedimento. Voglio ricordare che il documento della Commissione europea sulle migliori tecniche disponibili per il settore delle raffinerie, richiamato più volte in questo decreto-legge, viene citato assolutamente in modo improprio. Tale documento, infatti, fa un preciso riferimento ad una serie di indicazioni sulla purezza dei combustibili e sulla migliore tecnologia disponibile per l’utilizzazione del coke che sono assolutamente – purtroppo – ben lontani dalla realtà riscontrata a Gela. Basti dire che la concentrazione delle emissioni della raffineria siciliana è in questo momento dieci volte superiore a quella di un impianto di gasificazione del coke, così come è previsto in ambito europeo.
La nostra contrarietà non è soltanto riferita al fatto che non si risolvono i problemi ambientali cambiando i concetti e, di conseguenza, i limiti – perché poi i problemi ambientali restano assolutamente immutati, anzi si aggravano – ma anche al fatto che questa strategia dello struzzo, cioè il nascondere il problema attraverso una modifica normativa, non garantisce purtroppo ai lavoratori occupati in quelle attività, che hanno giustamente richiesto certezze rispetto al proprio futuro, nessuna prospettiva.
Per tale ragione siamo dispiaciuti per la bocciatura di diversi emendamenti, presentati anche dal Gruppo dei Verdi, che chiedevano invece un piano di risanamento complessivo dell’area mediante un accordo di programma. Le nostre proposte erano volte a far sì che si verificasse lo stato della situazione anche con un’indagine epidemiologica, che si facesse riferimento a tecnologie compatibili, che si sostenesse, anche finanziariamente o attraverso incentivi, un piano adeguato di risanamento e che si individuassero nuove attività produttive ambientalmente compatibili, le uniche, a nostro avviso, in grado di dare una prospettiva duratura e strategica in termini anche occupazionali alla produzione di quell’impianto e, più in generale, a tutti gli impianti che possono determinare problemi ambientali.
Sono queste le ragioni fondamentali per cui restiamo contrari al provvedimento in esame. Riteniamo giusto essersi posti il problema di salvaguardare e tutelare l’occupazione dei lavoratori di quello stabilimento, ma la nuova normativa darà un respiro molto breve, mentre le emissioni inquinanti provenienti da quell’impianto di raffinazione continueranno a rientrare nei parametri di illegalità previsti per legge.
Si tratta quindi di un modo assolutamente miope di affrontare i problemi dello sviluppo economico, del futuro della chimica in Italia e di un vero piano di risanamento: problemi, come è noto, assai complessi e delicati, per la cui soluzione in Italia non si riesce mai ad attuare una strategia significativa.
Come tutti sappiamo, sono numerose le aree a rischio presenti nel nostro Paese; con questo provvedimento, invece di puntare con decisione, anche mediante incentivi economici e piani credibili di risanamento che prevedano emissioni nell’ambito delle normative e la tutela dell’occupazione connessa a produzioni con caratteristiche strategiche e durature, non si fa altro che modificare i limiti, e su questo evidentemente il nostro giudizio è negativo.
Al contrario di chi ritiene che con il provvedimento in esame abbiamo risolto i nostri problemi, e soprattutto quelli della raffineria di Gela, siamo purtroppo decisamente convinti (ma in futuro avremo modo di verificarlo e di riparlarne) che questo non è un modo strategico ed efficace di affrontare i problemi di natura economica e ambientale che molto spesso si pongono su tante parti del nostro territorio e che evidentemente, parlando di Sicilia e di Mezzogiorno, hanno un impatto, in termini occupazionali, ancora più pesante rispetto a quello che possono avere in altre realtà italiane.
Sono queste le ragioni fondamentali per cui siamo fermamente contrari al provvedimento. Già in passato abbiamo criticato le operazioni che modificano il limite delle emissioni (in questo caso la modifica è realizzata tramite il mutamento del concetto di rifiuto) perché tali operazioni, anziché aiutare le imprese, il mondo del lavoro e l’ambiente a fare un passo in avanti, lasciano tutti esattamente nelle stesse condizioni, rendendo sempre meno competitiva sul piano internazionale l’industria italiana, costretta a misurarsi, rispetto ad altri Paesi europei o del mondo occidentale, con parametri o incentivi decisamente più restrittivi rispetto a quelli autorizzati dal provvedimento in esame.
Questo è un modo per rendere non competitive le aziende italiane, che invece sempre di più dovranno misurarsi, da protagoniste, con i processi di internazionalizzazione e di globalizzazione. Anche sul piano imprenditoriale, oltre che sul piano occupazionale e ambientale, questo testo non offre quindi alcuna soluzione al problema molto grave, consistente nel coniugare la tutela dell’ambiente, l’occupazione e lo sviluppo economico nel nostro Paese. (Applausi dal Gruppo Verdi-U).

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