XIV legislatura
Seduta n.503
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 novembre 2003, n. 315, recante disposizioni urgenti in tema di composizione delle commissioni per la valutazione di impatto ambientale e di procedimenti autorizzatori per le infrastrutture di comunicazione elettronica. (2594)
Discussione generale
DONATI (Verdi-U)
Signor Presidente, colleghe, colleghi, il decreto-legge alla nostra attenzione contiene alcune misure che non sono accettabili non tanto per la qualità del loro contenuto – mi riferisco in particolare all’articolo 1 – ma soprattutto per il fatto che si utilizza lo strumento del decreto-legge. Rilevo comunque che per l’articolo 2 si presenta un problema di completa estraneità alla sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003.
Affermo questo perché il decreto-legge in esame parte da un presupposto importante. Sulla base dei ricorsi presentati dalle Regioni in merito alla legge obiettivo, la n. 443 del 2001, e, conseguentemente, agli strumenti attuativi, in particolare ai decreti legislativi n. 190 e n. 198 del 2002 circa le opere strategiche, sia infrastrutturali che di telecomunicazione, dopo una lunga e complessa valutazione, la Corte costituzionale nel 2003 ha emesso la sentenza n. 303.
Una parte di quest’ultima ha richiesto di apportare importanti correzioni al decreto legislativo n. 190 relativo proprio alla realizzazione delle infrastrutture strategiche, un’altra parte ha completamente annullato il decreto legislativo n. 198 che riguarda l’accelerazione della realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche, d’iniziativa del ministro Gasparri nel settembre 2002.
Quindi, da un lato c’è un riconoscimento importante che la sentenza della Corte ha richiamato, del vedere lesi interessi locali tutelati dalla Costituzione e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 in ordine alla localizzazione delle infrastrutture, sulla base di deroghe per l’installazione di impianti per le telecomunicazioni al di fuori dei piani regolatori, che non possono essere assicurate così come prevedeva il decreto-legge Gasparri.
Ho parlato di uno strumento assolutamente improprio perché la legge Lunardi, il provvedimento originario di tutti questi decreti legislativi, si era dotata (e ciò era stato oggetto anche di uno scontro tra maggioranza e opposizione) di strumenti di delega assolutamente ampi, non solo per l’emanazione dei decreti legislativi che stiamo correggendo con il decreto-legge a nostro esame, ma anche istituendo le procedure per la loro correzione.
In particolare, essa stabiliva che vi sarebbero stati comunque due anni di tempo per il Governo (quindi con una delega ulteriore il tempo complessivo arrivava a tre anni) per l’eventuale correzione dei decreti legislativi adottati sulla sua base. È questa una delle ragioni fondamentali per cui contesto l’utilizzo del decreto-legge riferito all’articolo 1: la legge obiettivo conteneva già strumenti molto ampi (una delega di tre anni complessivi che il Parlamento ha assicurato al Governo) per poter, sulla base dell’applicazione, dell’esperienza e in questo caso della sentenza, correggere il decreto legislativo n. 190.
Invece di utilizzare il comma 3 dell’articolo 1 della legge obiettivo, si è deciso di procedere per decreto-legge e quindi si è utilizzato un altro strumento d’emergenza che non è giustificato proprio perché la norma contiene già l’istituto della correzione e della verifica della sua applicazione.
È stato detto, anche in Commissione, che il Governo non poteva utilizzare questo strumento di correzione per via ordinaria, perché ciò avrebbe fatto perdere tempo e non era ammissibile che una commissione venisse sostituita con una procedura così lenta: proprio perché il decreto legislativo deve essere emanato, le Commissioni parlamentari e la Conferenza Stato-Regioni devono esprimere la propria opinione.
Vorrei contestare non tanto questo principio ma il suo effetto pratico. Voglio ricordare che la commissione speciale VIA per le opere strategiche ha già approvato, a distanza di un anno dalla sua istituzione opere strategiche per oltre 20 miliardi di euro e la stessa Confindustria in uno studio ha dimostrato che queste opere (già all’esame del CIPE per l’approvazione), per almeno 9 miliardi di euro, non sono coperte da nessun provvedimento connesso (ad esempio, dalla protezione che l’operazione di Infrastrutture S.p.A. può dare e che riguarda esclusivamente alcune tratte dell’alta velocità, che non rientrano nei piani delle concessionarie autostradali).
Si tratta, quindi, di ingenti investimenti già autorizzati che non vedranno rapidamente la cantierizzazione nonostante gli annunci, perché non vi sono le risorse e nemmeno questa legge finanziaria provvede ad identificarle.
La procedura veloce, per cui la commissione non può perdere trenta giorni di lavoro nella fase di sostituzione per via ordinaria, ha come risultato che si continueranno ad approvare in fretta progetti preliminari di pessima qualità, che andranno a riempire i cassetti delle cose non realizzate nel nostro Paese. Ripeto, infatti, che le risorse finanziarie pubbliche o private non ci sono neanche per il complesso delle infrastrutture decise dalla commissione speciale di valutazione di impatto ambientale.
La fretta, per cui si deve ricorrere al decreto-legge, anziché utilizzare lo strumento della delega già prevista dalla legge ordinaria, è dunque assolutamente fuori luogo. È questa la prima contestazione all’articolo 1.
Entrando nel merito, il dettato della norma rispetta indubbiamente la sentenza della Corte, per cui là dove le opere sono di riconosciuto interesse concorrente con le Regioni la commissione VIA deve essere integrata da un rappresentante regionale.
È positivo il principio per cui l’opinione dei livelli locali si esprime non solo al CIPE, ove deve essere assicurata l’intesa, ma anche nell’ambito della commissione VIA. Tuttavia l’articolo 1, nell’attuale formulazione, non chiarisce se per ogni opera, che può interessare una o più Regioni, la commissione è integrata da soggetti individuati dalle singole Regioni aventi un interesse concorrente. Abbiamo perciò presentato specifici emendamenti, volti a chiarire questo aspetto di non poco conto.
Se si trattasse di un’unica integrazione effettuata dalle Regioni nel loro complesso una volta per tutte, in relazione a qualsiasi opera di interesse regionale concorrente, a mio avviso, non sarebbe pienamente rispettata la sentenza della Corte costituzionale, secondo la quale la Regione interessata deve poter esprimere, anche all’interno della commissione VIA, il proprio punto di vista. Deve trattarsi quindi di un soggetto, di un esperto specificamente riferito alla Regione o alle Regioni interessate dal progetto.
A proposito dell’articolo 2, da noi giudicato fortemente incostituzionale, il senatore Moncada ha definito la questione molto complessa, ai limiti della comprensibilità; egli non è in grado di farsi un’opinione, ma ritiene che il decreto-legge sia giustificato per l’urgenza di rispettare la sentenza.
Queste considerazioni non valgono per l’articolo 2 perché il testo applica la sentenza n. 303 (in base alla quale la speciale commissione VIA va integrata con esperti nominati dalla Regione per le opere concorrenti di interesse regionale) anche alla commissione di VIA per la procedura ordinaria, con un’estensione assolutamente incostituzionale e illegittima.
In questo modo si ingenera enorme confusione e si incorre in un vero e proprio vizio di forma: nessuna Regione ha mai fatto ricorso alla commissione VIA, istituita ai sensi della legge n. 349 del 1986 e successivi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri a partire dal decreto n. 377 che ha istituito le commissioni ordinarie, perché nel corso del tempo è stato ben chiarito che il compito della commissione ordinaria è quello di valutare l’impatto ambientale delle grandi opere in Italia.
Ciò è definito anche in base ad una specifica direttiva che stabilisce esattamente le dimensioni delle infrastrutture e degli impianti che devono sottostare ad una valutazione nazionale. Con norme successive è stato chiarito che, qualora una infrastruttura abbia caratteristiche di minore impatto o non sia localizzata in aree particolarmente sensibili, sono le Regioni, che si siano dotate di legge regionale, a dover effettuare la valutazione di impatto ambientale per opere di proprio interesse.
Quindi, la distinzione tra i livelli di valutazione sulle opere nazionali e regionali, che afferiscono a un altro elenco di opere, era già stata definita con piena soddisfazione delle parti da molto tempo e infatti nessun ricorso è mai stato presentato contro la commissione ordinaria di valutazione di impatto ambientale che pure – voglio ricordarlo – ha valutato progetti importantissimi come l’Alta velocità ferroviaria o i grandi impianti insediativi.
Essa è entrata spesso in collisione con i livelli locali, ma le sue prerogative non sono mai state messe in discussione anche perché, successivamente, nella Conferenza dei servizi gli stessi enti locali erano chiamati ad esprimere un’opinione sullo stesso provvedimento in base alle proprie prerogative urbanistiche e, in generale, di valutazione dell’interesse dei cittadini e di tutela della salute.
Voglio sottolineare e ribadire questo aspetto, perché è veramente scandaloso: la Corte non si è mai pronunciata sulla commissione ordinaria con alcuna sentenza. Con il pretesto, quindi ,di colmare un vuoto inesistente, su cui nessuno ha mai richiamato la Corte ad esprimersi, come già ricordato da altri colleghi, si è in realtà voluto trovare un trucco per evitare un meccanismo che vede il Ministro dell’ambiente perdente di fronte al TAR, sostituendolo con altra norma.
Il Ministro dell’ambiente, quando è andato legittimamente al governo del Dicastero, tra i vari spoils system che ha attivato, ha anche sostituito i componenti della commissione per la valutazione dell’impatto ambientale, ovviamente non sulla base di una valutazione tecnica dei soggetti che ne facevano parte, ma semplicemente applicando un principio fiduciario dal quale voleva essere pienamente tutelato.
La logica dell’applicazione dello spoils system alla commissione VIA è stata recentemente censurata anche dal tribunale amministrativo regionale del Lazio che ha dichiarato, sulla base di un ricorso presentato dai commissari già membri di quella commissione, la non applicabilità della legge sullo spoils system (legge n. 145 del 2001) alla commissione VIA in quanto organo eminentemente tecnico-amministrativo non riconducibile, appunto, ad un rapporto fiduciario di tipo politico con il Ministro.
Mi sembra di tutta evidenza e anche di una certa gravità che in questo Paese non ci saranno mai tecnici indipendenti se continuiamo a muoverci in questa direzione.
Sono favorevole al fatto che il Ministro nomini ai livelli più alti, i quali sono funzionali all’avanzamento delle proprie politiche, persone di cui ha assoluta fiducia, ma questo non può essere esteso ai livelli più bassi, in particolare, come ha stabilito la sentenza del TAR, alla commissione per la valutazione di impatto ambientale, che esprime un giudizio squisitamente tecnico.
Desidero ricordare, altresì, che si tratta di un parere che può essere anche superato in sede di Consiglio dei ministri, se il proponente non è d’accordo, per cui esistono le tutele e le contromisure per eludere, purtroppo, questi pareri che, peraltro, non ci sono neanche mai stati.
Infatti, la commissione VIA ha svolto un ruolo di grande miglioramento dei progetti e nell’82 per cento dei casi ha dato parere positivo alle opere sottoposte alla valutazione di impatto ambientale. A volte, ha reso forse i tempi troppo lunghi, ma ciò era necessario perché la qualità dei progetti che vengono presentati in Italia, dall’Alta velocità ai grandi progetti infrastrutturali e autostradali, è sempre pessima e soltanto il dialogo del Ministero dell’ambiente con gli enti locali può migliorarla.
La commissione VIA ha svolto quindi una funzione importante. Ed ecco che l’articolo 2, che non è costituzionale, che non è giustificato dalla sentenza, viene inserito proprio per mettere il Ministro al riparo di una sentenza del TAR che lo vede perdente.
Questo ritengo sia un aspetto che quest’Aula del Senato dovrebbe correggere, proprio perché la commissione VIA – dobbiamo tutti convenirne – è un organo tecnico, al pari dell’ANPA e dell’ARPA, cioè di strutture che, sulla base delle norme, danno dei giudizi di rispetto, di tutela e di integrazione in ordine alla valutazione ambientale dei grandi progetti infrastrutturali.
Quindi, questa scappatoia di correggere un’applicazione sbagliata della norma sullo spoils system addirittura per decreto-legge, con una modalità completamente estranea, ci trova decisamente contrari. Credo sia anche in qualche modo una mancanza di rispetto per quei soggetti che legittimamente hanno fatto un ricorso che ha visto un esito positivo: si vuole nuovamente, con delle norme, intervenire in corso di procedura.
Infine, una breve battuta sul decreto legislativo n. 198 del 2002, di cui l’articolo 4 del decreto al nostro esame riconosce l’annientamento. Voglio ricordare anche in questa sede che il disegno di legge Gasparri sulle telecomunicazioni in ben tre punti richiama tale decreto legislativo senza che quest’Aula abbia provveduto alla sua correzione.
Non ci convince l’introduzione del succitato articolo 4, che tende, da un lato, ad effettuare una sanatoria, dall’altro, ad applicare i nuovi limiti del decreto legislativo n. 259 del 2003 sulle telecomunicazioni alle vecchie procedure ormai annientate del decreto legislativo n. 198. Verificheremo poi sul campo se questo nuovo decreto legislativo sulle telecomunicazioni rispetta la sentenza della Corte costituzionale, che ha appunto deciso che le procedure della legge Gasparri erano completamente fuorilegge.
Quindi, io mi auguro che ragionando in quest’Aula si possano correggere tali norme, che partono appunto da presupposti importanti e positivi quali la sentenza della Corte, ma poi si estendono creando sanatorie o addirittura, come nel caso gravissimo dell’articolo 2, andando oltre, decisamente oltre, le indicazioni della Corte costituzionale.