Anna Donati per Quale Energia
Quando scoppiò nel 2020 la pandemia da Covid 19 vi fu un intenso dibattito sul suo legame con l’inquinamento atmosferico ed in particolare sulle polveri sottili. La ricerca è proseguita in questi anni ed ora arriva uno studio ENEA – Università di Roma Tor Vergata che evidenzia una forte affinità tra il particolato atmosferico (PM2.5) e la proteina Spike del virus SARS-CoV-2 responsabile del Covid.
I risultati, che descrivono l’interazione tra le polveri sottili e il virus attraverso simulazioni di dinamica molecolare eseguite con il supercalcolatore CRESCO6, sono stati pubblicati sulla rivista online Science of The Total Environment e rientrano nell’ambito del progetto Pulvirus.
“Durante la fase iniziale della pandemia la Lombardia e, in generale, tutta l’area della Pianura Padana sono state colpite più duramente dall’infezione virale rispetto al resto del Paese. Parliamo di una parte d’Italia tra le più inquinate e questo ha portato la comunità scientifica a ipotizzare un possibile ruolo del particolato atmosferico nella diffusione del virus”, spiega Caterina Arcangeli, ricercatrice ENEA del Laboratorio Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme ai colleghi Barbara Benassi, Massimo Santoro e Milena Stracquadanio, con tre ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata.
Lo studio è partito dalla verifica e dimostrazione della presenza del genoma del virus responsabile del Covid-19 su almeno il 50% dei campioni di filtri per il PM2.5 raccolti nella città di Bologna nell’inverno del
2021. A seguire sono stati realizzati al computer modelli molecolari e valutato la loro interazione mediante simulazioni ad alte prestazioni. Le simulazioni hanno mostrato chiaramente che i glicani (zuccheri) presenti sulla superfice della proteina Spike giocano un ruolo importante nell’interazione tra virus e particolato, mediando il contatto diretto con la corrispondente superficie del nucleo di carbonio del PM2.5. Inoltre, dallo studio emerge anche una stretta correlazione tra PM2.5 e virus anche rispetto alle caratteristiche chimiche del particolato fine, il cui contenuto in carbonio elementare sembra avere una funzione guida nell’interazione con il SARS-CoV-2.
Quindi da un lato ci sono conferme evidenti ma dall’altro la ricerca prosegue perché sebbene l’affinità tra PM2.5 e SARS-CoV-2 appaia plausibile, la simulazione non permette di valutare se queste interazioni siano sufficientemente stabili per trasportare il virus nell’atmosfera o se il virione mantenga la sua infettività dopo il trasporto.
Queste simulazioni possono rappresentare uno strumento utile per valutare rapidamente l’eventuale interazione delle polveri sottili con virus, batteri o altri bersagli cellulari rilevanti, per contrastare o controllare la diffusione di future malattie trasmesse per via aerea in regioni altamente inquinate e fornire informazioni utili per elaborare piani di controllo dell’inquinamento dell’aria.
Quindi questa ricerca conferma che dove maggiore è l’inquinamento maggiore è anche l’effetto di interazione con i virus, che si aggiunge ai problemi di salute delle vie respiratore che la pessima qualità dell’aria produce sulle persone, rendendole molto più fragili ed aggredibili dalle malattie. Due concause che non possono che indurre una accelerazione degli investimenti e misure per migliorare la qualità dell’aria nel nostro paese.