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Mobilità, infrastrutture, ambiente: la transizione giusta per la sostenibilità

Legge comunitaria 2004

22 Giugno 2004

XIV legislatura

Seduta n. 620  

Discussione congiunta del disegno di legge:

(2742) Disposizioni per l’adempimento di obblighi comunitari derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004 (Votazione finale qualificata ai sensi dell’articolo 120, comma 3, del Regolamento)

e del documento:

(Doc. LXXXVII, n. 4) Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea (anno 2003)

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, signor Ministro, è vero che la discussione presso la 14a Commissione è stata proficua e anche accesa; purtroppo, però, non ha prodotto quei risultati auspicati che potrebbero essere esaminati e condivisi in quest’Aula.

Questo è accaduto per due ragioni. In primo luogo, perché il parere della 5a Commissione permanente ha falcidiato buona parte degli emendamenti con motivazioni che riteniamo assolutamente pretestuose; abbiamo, comunque, riformulato alcuni emendamenti proprio per venire incontro alle obiezioni avanzate. In secondo luogo, a causa dei tempi ristretti previsti per la discussione, considerata l’urgenza (comprensibile e che avevamo del resto condiviso) per l’Assemblea (che mostrava fretta) di affrontare il testo oggi al nostro esame; siamo però stati poi costretti ad aspettare oltre due mesi, fino alla data odierna, in cui finalmente il testo approda in Aula.

E’ vero che si è svolta una discussione di merito molto interessante ed intensa nella quale ciascuno ha fatto la propria parte; però, a ben guardare, i risultati sono molto modesti. Non vi è dubbio che da quel lavoro emerge un rafforzamento del ruolo del Parlamento, sia con una procedura di doppio parere delle competenti Commissioni parlamentari, sia con il trasferimento di alcune direttive dall’Allegato A all’Allegato B. In sintesi, il lavoro è da considerarsi positivo, ma al tempo stesso ancora insufficiente.

Riteniamo, inoltre, che in una discussione importante e positiva sul recepimento di direttive comunitarie (ovviamente declinate rispetto al nostro ordinamento, ai nostri valori e contenuti) debbano comunque essere sottolineate due fondamentali questioni irrisolte: ogni anno ci dotiamo di una legge comunitaria che recepisce numerose direttive e spesso – troppo spesso – molte deleghe attuative restano sulla carta; non vengono, cioè, esercitate. Bisogna sempre premere sulle istituzioni, sui Ministri competenti, affinché vengano predisposte. Anche questo ci sembra un modo non corretto di rispettare i tempi previsti dalle deleghe.

E’ poi vero che in Commissione è stato introdotto un emendamento proposto dell’opposizione (e accolto dalla maggioranza e dal Governo) che obbliga il Ministro per le politiche comunitarie a motivare in Parlamento le ragioni dei ritardi, una volta trascorsi quattro mesi dalla scadenza del termine per il recepimento. Ho inteso segnalare questo problema, la cui soluzione è sicuramente esortativa, ma forse non ancora sufficiente.

La seconda questione fondamentale che ritengo irrisolta riguarda l’attuazione concreta delle direttive. Tra i casi di procedure d’infrazione (se non di condanne già pronunciate) che vedono l’Italia nel mirino della Commissione europea citerò, innanzitutto, le procedure di appalto per l’alta velocità (TAV): l’Italia è stata condannata per aver assegnato a trattativa privata tre grandi tratte ad alta velocità a vecchi consorzi, per un valore complessivo stimato di 15 miliardi di euro; quindi, opere non piccole, ma significative. È soltanto perché la condanna è giunta dopo la scadenza del termine per la presentazione in Aula di emendamenti che non ho presentato al riguardo proposte correttive, cosa che mi ripropongo di fare in altra sede.

Ricordo, inoltre, ancora la valutazione di impatto ambientale e l’attuazione che alla direttiva è stata data con la legge-obiettivo e con il decreto legislativo n. 190 del 2002, che prevede una specifica procedura. Siamo alla messa in mora, non ancora alla condanna definitiva. Lo stesso vale per i lavori per l’autostrada Fiumicino-Formia, la cui procedura di assegnazione da parte della Regione Lazio è ritenuta illegittima non solo dall’Autorità di vigilanza dei lavori pubblici italiana, ma anche dalla stessa Commissione europea, che ha già messo in mora l’Italia per il mancato rispetto della direttiva 93/37/CEE in materia di appalti e concessioni.

Va benissimo recepire le direttive e dare delle scadenze; però bisogna poi fare attenzione perché la concreta attuazione quotidiana, norma per norma e progetto per progetto (mi riferisco soprattutto agli appalti e alle concessioni) è sempre piuttosto discutibile e tende sempre a non rispettare le regole.

Peraltro, conosco già l’argomentazione con cui il Ministro risponderà alle mie osservazioni. Egli sostiene che il recepimento e la capacità attuativa si devono sposare con l’interesse nazionale o, se non proprio con l’interesse nazionale, con i valori, la cultura e la dimensione contenutistica che ogni Paese porta con sé.

Giustamente, egli mi ricorda continuamente il caso degli OGM e del ruolo che l’Italia, e in particolare i Verdi, hanno invocato, di freno rispetto agli obblighi che ci derivavano. È un’obiezione giusta, ma parlando di appalti non si può sostenere che evadere le norme in materia di gare sia un modo per difendere, in prospettiva, gli interessi nazionali; si difendono piuttosto alcune imprese, tra l’altro riconoscibili, ma non si perseguono gli interessi nazionali.

Abbiamo, invece, l’obbligo di mettere le nostre imprese in condizione di gareggiare – ed è quello che chiedono – in modo tale che non risultino escluse dal mercato italiano ed europeo, mentre la violazione delle direttive comunitarie, purtroppo, presuppone esattamente questo. Quindi, non è certo per la difesa degli interessi o dei valori del nostro Paese che si possono evitare le gare d’appalto.

Entrando più specificatamente nel merito del provvedimento in esame, punterò la mia attenzione in particolare su tre questioni. La prima riguarda l’articolo 8 (ex articolo 7 del testo proposto dal Governo), concernente l’attuazione della direttiva n. 87 del 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra.

Sul recepimento di questa direttiva siamo ovviamente d’accordo, dal momento che è un pezzo importante delle politiche di contenimento che il nostro Paese deve adottare nel rispetto del Protocollo di Kyoto; anche il sistema di scambio ad emission trading è dunque una misura condivisibile, ma nell’ambito di una strategia completamente differente.

In questo senso, non condividiamo, ad esempio, che il testo alla nostra attenzione, più che richiamare (come tra l’altro fanno numerosi nostri emendamenti) l’adozione di princìpi e criteri direttivi per il recepimento stesso, paradossalmente evidenzi come obiettivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1, rispettivamente, la sicurezza energetica nazionale, l’evitare effetti distorsivi sulla concorrenza tra le imprese e, infine, l’assicurare la coerenza del piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione, previsto all’articolo 9 della citata direttiva.

Ovviamente, riteniamo sacrosanti i primi due obiettivi, essendo ovvio che l’energia è un settore strategico da tutelare perché ne va dei processi di equità industriale del nostro Paese, come è anche ovvio che fenomeni distorsivi della concorrenza non potrebbero vederci favorevoli. Tuttavia, questa sequenza, che pone i primi due come obiettivi principali rispetto ai quali l’obiettivo fondamentale della direttiva, ossia la riduzione delle emissioni, diventa il terzo, una sorta di subordinata, non ci può trovare assolutamente d’accordo.

In questo senso abbiamo presentato numerosi emendamenti, con i quali chiediamo di finalizzare esplicitamente il recepimento del sistema di scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra ai seguenti obiettivi: stabilizzare e ridurre le concentrazioni aggregate di gas ad effetto serra ad un livello che prevenga qualsiasi pericolosa interferenza antropica sul sistema climatico, nel rispetto degli obiettivi della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui mutamenti climatici, del Protocollo di Kyoto e delle relative norme di attuazione; promuovere l’utilizzo (questo sì riteniamo sia fare gli interessi nazionali e delle nostre imprese nel settore energetico), da parte delle diverse categorie, di impianti che impieghino tecnologie a più bassa emissione di gas serra.

L’occasione del recepimento di questa direttiva deve, cioè, diventare anche l’occasione – sia pure con un sistema di disincentivi e incentivi di comportamenti virtuosi – per un processo di innovazione, sperimentazione e ricerca nel campo delle fonti energetiche alternative e rinnovabili. Ovviamente, dalle energie alternative escludiamo – e lo abbiamo fatto anche con appositi emendamenti – il ricorso al nucleare.

Infine, occorre promuovere, nell’ambito del processo di liberalizzazione del mercato dell’energia in atto anche nel nostro Paese, la diffusione di impianti a tecnologia efficiente e l’uso di fonti energetiche rinnovabili da parte degli impianti per la produzione di energia elettrica, secondo quanto previsto dalle direttive comunitarie in materia.

È un recepimento che non condividiamo, che crediamo debba essere ribaltato nei suoi obiettivi per diventare l’occasione, anche ai fini della sicurezza nazionale ed evitando la distruzione della concorrenza, per un grande processo ambientale tecnologico che doti il nostro Paese di una prospettiva molto più sicura di quella odierna (dipendenti come siamo dal petrolio e dalla produzione nucleare di altri Paesi), che ha bisogno di regole, sostegni, incentivi e di un rapporto di grande collaborazione con il mondo delle imprese.

Il secondo argomento che vorrei affrontare riguarda la valutazione ambientale strategica. Il 20 luglio scadrà il termine per il recepimento dell’importante direttiva in materia, già inclusa in due Leggi comunitarie precedenti e che il Governo non ha attuato e che rientra dunque nei casi – che ho citato – di mancata attuazione, pur avendo il Governo stesso una piena delega al riguardo.

Qual è la nostra fortissima preoccupazione? La delega è stata reinserita in questo testo, ciò significa che il Governo, praticamente, si assegna altri diciotto mesi dalla data di approvazione di questo provvedimento, che peraltro è in prima lettura qui in Senato e dovrà essere esaminato alla Camera, per cui non sappiamo quale sarà l’esito finale, in termini temporali, della Legge comunitaria 2004.

Siamo pertanto fortemente preoccupati e praticamente certi che il termine del 20 luglio sarà abbondantemente superato di oltre due anni, se le cose restano così come previsto da questa Legge comunitaria.

Abbiamo quindi riformulato alcuni nostri emendamenti per venire incontro alle obiezioni della 5a Commissione; con tali emendamenti chiediamo tempi certi e brevi di recepimento, anche perché il 21 luglio, nei confronti dell’Italia, sarà aperta una procedura di infrazione per non aver ottemperato a questa importante direttiva.

Mi rendo perfettamente conto che i tempi, rispetto alla conclusione dell’esame in Commissione e ai nostri emendamenti, sono piuttosto ristretti; due mesi fa avevano un loro senso, ma mi rendo conto che a poche settimane di distanza tutto ciò può suonare più complesso.

Il relatore e il rappresentante del Governo in Commissione si erano impegnati a trovare una soluzione in Aula in ordine a questo problema, proprio perché, avendo il Governo Berlusconi fatto delle opere strategiche e delle grandi centrali un elemento essenziale delle proprie politiche, è ancor più essenziale recepire in fretta la direttiva con una valutazione complessiva della coerenza di quei piani e programmi con i criteri di tutela ambientale, di sostenibilità e più in generale – come nel caso delle politiche dei trasporti – di riequilibrio modale.

La direttiva – ripeto – era già stata inserita in due Leggi comunitarie precedenti; noi chiediamo che il suo recepimento sia molto più stretto, come proposto nei nostri emendamenti, i cui contenuti abbiamo preso direttamente dalla direttiva stessa.

L’ultimo tema che voglio segnalare riguarda il comma 8 dell’articolo 11, relativo al diritto di prelazione per il promotore di opera pubblica o di interesse pubblico, in attuazione della legge Merloni (legge n. 109 del 1994) e delle sue successive modifiche e in particolare della legge n. 166 del 2002, che quest’Aula ha discusso a lungo.

Un parere motivato della Commissione europea del dicembre 2003 chiede la correzione di alcune norme in materia di appalti, tra cui l’articolo 37-bis della legge n. 109 del 1994, così come modificato dalla legge n. 166 del 2002. La Commissione europea osserva, in primo luogo, che il promotore è individuato secondo un criterio non trasparente. È un tema in discussione anche presso la Commissione lavori pubblici: fino ad oggi il promotore è stato scelto casualmente e con i soliti cavilli all’italiana ci sono stati ricorsi sull’identità di tale figura.

La corsa al titolo di promotore di un’opera pubblica o di interesse pubblico è comprensibile alla luce del fatto che egli ha due indiscutibili vantaggi: la garanzia del diritto di gara, perché tutti gli altri candidati devono misurarsi sul suo progetto, e il diritto di prelazione, introdotto dalla citata legge n. 166.

Il diritto di prelazione è un meccanismo per cui, una volta esperita la gara, qualora un altro soggetto indichi migliori condizioni, il soggetto che vigila sulla gara stessa può chiedere al promotore se intende adeguarsi a tali condizioni. In caso di risposta positiva, il promotore ha diritto alla assegnazione della realizzazione dell’opera pubblica.

La Commissione europea rileva che questo doppio vantaggio (certezza nella gara e diritto di prelazione), tra l’altro in presenza di una modalità di selezione del promotore assolutamente opaca e non definita da procedure concorsuali, non tutela la parità di trattamento di operatori pubblici e privati che intendono candidarsi alla realizzazione di un’opera pubblica.

La Commissione mette sotto accusa un aspetto rilevante della Legge comunitaria, che non cambia la sostanza della normativa, prevedendo soltanto l’obbligo di esplicitare e specificare nel bando di gara nel dettaglio il diritto di prelazione.

La segnalazione è utile perché chi gareggia è tenuto ad informarsi in modo puntuale sui tempi e le procedure che la norma impone. Noi riteniamo, però, che tale integrazione sia insufficiente, perché non sono soddisfatte le obiezioni del parere motivato della Commissione europea.

Abbiamo quindi presentato emendamenti tendenti ad eliminare il diritto di prelazione. Concludo auspicando che il confronto di merito, appena iniziato in Commissione e concluso frettolosamente con il rinvio alla discussione in Assemblea, trovi in questa sede spazio adeguato.

Seduta n.

20 luglio 2004
Discussione articoli

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, l’articolo 8 recepisce la direttiva 2003/87/CE in ordine al sistema di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra.

Desidero ricevere almeno l’attenzione del relatore perché in Commissione si è svolta un’accesa discussione, ma la soluzione era stata di fatto rinviata ad altre valutazioni: le nostre proposte erano ritenute interessanti ma, secondo la Commissione bilancio, mancava la copertura finanziaria. Abbiamo, quindi, provveduto a riformularle con un’adeguata copertura.

Chiedo un parere e un voto favorevole almeno sull’emendamento 8.101, che introduce criteri di riferimento ai fattori cui lo scambio di emissioni e le relative quote devono essere correlati. L’attuale formulazione del testo stabilisce, in modo paradossale, che l’obiettivo principale è la sicurezza energetica, il secondo obiettivo è quello di evitare effetti distorsivi sulla concorrenza e il terzo è la coerenza del piano nazionale di assegnazione delle quote rispetto all’emissione di gas ad effetto serra.

Con le lettere aggiuntive che chiediamo di premettere al comma 1 vi è un miglior chiarimento della necessità che tutto ciò che avviene all’interno dello scambio di emissioni di quote sia correlato al pieno rispetto degli obiettivi del Protocollo di Kyoto, che devono essere fattori di innovazione tecnologica anche nel campo dei processi di liberalizzazione.

Altri emendamenti vanno nella stessa direzione, precisando meglio i criteri già previsti nella direttiva, ma l’emendamento sui cui insisto è l’8.101. Ripeto che lo scopo è aggiungere criteri correlando lo scambio di emissioni al rispetto del Protocollo di Kyoto, che il Parlamento, su proposta del Governo, ha già ratificato con la legge n. 120 del 2002.

Pertanto, non facciamo altro che riproporre, all’interno del sistema di scambi, precisi riferimenti normativi già assunti. Diversamente, si corre il rischio che lo scambio di emissioni delle quote di gas a effetto serra non sia correlato ad alcuno obiettivo, in particolare a quelli di Kyoto, con riferimento ai quali siamo stati purtroppo già richiamati dalla Commissione europea perché inadempienti rispetto al piano di riduzione delle emissioni, che continuano a crescere.

Ribadisco che l’emendamento non è in contrasto con il testo dell’articolo 8, ma è un’integrazione più coerente con la direttiva europea.

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, vorrei illustrare in particolare l’emendamento 11.112. Ricordo che l’articolo 11 si riferisce ad alcune modifiche della legge Merloni, in particolare al comma 8 si interviene sul soggetto promotore individuato ai sensi dell’articolo 37-bis della legge n. 109 del 1994, così come modificato con la legge n. 166 del 2002, il famoso collegato sulle infrastrutture.

Quali sono le obiezioni della Commissione europea che hanno prodotto la risposta che il Governo presenta nel testo e che noi chiediamo di modificare? La Commissione europea ha espresso un parere motivato estremamente critico sulla nostra normativa per le seguenti ragioni.

La prima contestazione è che il promotore, cioè un soggetto privato che si candida a realizzare una infrastruttura, non viene individuato mediante una procedura di evidenza pubblica ovvero la sua identificazione è di per sé piuttosto vaga.

La seconda contestazione riguarda il fatto che, una volta individuato, il soggetto promotore gode di due vantaggi: un diritto di partecipare alla gara e di accedere comunque alla selezione finale e un diritto di prelazione, cioè a fronte di un’offerta migliore il soggetto promotore ha diritto di adeguarsi e alla fine di vincere comunque la gara.

Questi tre meccanismi sono stati censurati dalla Commissione europea perché ritenuti troppo vantaggiosi per un soggetto privato e quindi limitativi della tutela della concorrenza, di regole aperte e trasparenti. Il testo del Governo propone di rispondere a queste obiezioni semplicemente indicando in modo chiaro nel bando l’esistenza del diritto di prelazione. Voglio ricordare che chi gareggia per un’opera o un progetto conosce perfettamente questa normativa e quindi l’esistenza del diritto di prelazione.

Questa correzione è ritenuta insufficiente non solo da noi: il 7 luglio la Commissione europea ha ritenuto di rinviare alla Corte di giustizia le modifiche che sono state apportate.

I nostri emendamenti tendono invece a ripristinare regole di trasparenza e correttezza eliminando il diritto di prelazione. Si tratta di riconoscere qualche privilegio, ma non troppi, al promotore, ponendo i vari concorrenti nell’effettiva possibilità di competere per realizzare un’opera pubblica.

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, sono d’accordo con la proposta di modifica avanzata dal relatore, tendente a far slittare al 30 ottobre il termine precedentemente previsto al 20 luglio per l’adozione di un decreto legislativo di recepimento della direttiva in esame.

Vi sono due aspetti che motivano questa nuova scadenza. Innanzitutto, esprimo una forte censura perché la valutazione ambientale strategica indicata nella direttiva 2001/42/CE era già stata inserita all’interno della precedente Legge comunitaria, ma il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio non ha provveduto all’emanazione del relativo decreto legislativo di recepimento, sul quale il Parlamento avrebbe dovuto esprimere un parere.

A riprova di quanto detto anche in altre occasioni, non è mai stato il Parlamento a ritardare il recepimento di direttive, quanto piuttosto i ritardi sono spesso stati da imputare ai singoli Ministeri e alla loro capacità di predisporre testi condivisi e nei tempi dovuti.

Il secondo aspetto riguarda invece la scadenza, prevista nel nostro emendamento al 20 luglio 2004, in coincidenza proprio con la giornata odierna. Ricordo, in proposito, che gli emendamenti sul testo al nostro esame sono stati presentati circa due mesi fa e che dunque all’epoca il termine era congruo. Poi, a causa di slittamenti e di continue mancanze del numero legale, l’esame del provvedimento è stato possibile solo nella giornata odierna.

Inoltre, a partire da domani, 21 luglio, la Commissione europea potrebbe aprire una procedura d’infrazione, considerato che è il termine ultimo di recepimento della direttiva in questione. Ricordo che tale direttiva era già stata recepita ma, non essendo stata attuata dal Ministro competente, necessita di essere riproposta oggi, con l’indicazione di questo nuovo termine del 30 ottobre prossimo. È un termine rispetto al quale siamo positivamente orientati, anche se tale ritardo – che comunque permarrà in ordine al recepimento – va segnalato.

Contestualmente, vorrei annunciare il ritiro dell’emendamento 8.0.101, che aveva un termine ancora più stretto, già superato, relativo allo stesso argomento.

Dichiarazione di voto

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, colleghe e colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, i Verdi si asterranno nella votazione di questo importante provvedimento di recepimento di direttive nella Legge comunitaria.

Vi è un lungo elenco di direttive che finalmente vengono recepite nel nostro ordinamento. Ci auguriamo, ovviamente, che vengano rispettati dai singoli Ministeri i tempi di attuazione dei decreti legislativi di recepimento. Infatti, a questo punto il vero problema è quello di avere ogni anno buone leggi comunitarie che includono tutte le direttive emesse nei tempi di recepimento, ma una scarsa capacità attuativa nel passare dal recepimento formale al recepimento sostanziale con i decreti legislativi.

Perché, dunque, noi Verdi ci asteniamo nella votazione di questo provvedimento? Semplicemente sulla base di tre considerazioni, esclusivamente di merito, dando atto della serietà e della disponibilità con la quale il Ministro per le politiche comunitarie ha seguito, sia in Commissione che in Aula, il provvedimento (con un rispetto del Parlamento che – devo dire – altri Ministri non hanno), che gli abbiamo riconosciuto e che ci hanno consentito di comprendere meglio le ragioni per le quali alcune nostre proposte non sono state accolte.

Resta comunque un giudizio problematico su alcuni temi, tre in particolare. Innanzi tutto, l’articolo 8, che riguarda la direttiva n. 87 del 2003, la cosiddetta emission trading sulle quote di scambio dei gas ad effetto serra, sulla quota di emissioni che devono essere assicurate ai vari Paesi e alle imprese per rispettare il Protocollo di Kyoto.

Non condividiamo l’impostazione del testo, non corretta né in Commissione né in Aula, che punta più alla sicurezza energetica nazionale e alla tutela della concorrenza e solo come terzo fattore fa una vaga correlazione con la riduzione della CO2 e il rispetto del Protocollo di Kyoto, pur recepito da questo Parlamento su proposta del Governo.

Voglio ricordare che proprio la scorsa settimana si è aperta una procedura di infrazione in sede europea per la mancata presentazione del piano di emissione e ciò impedirà alle imprese italiane di poter scambiare dal 1° gennaio quote di emissioni, come consente la direttiva, puntando su sistemi innovativi efficienti e a basso impatto ambientale.

Il secondo elemento di critica riguarda la mancata correzione ad articoli successivi del concetto di rifiuto. Mi riferisco in particolare a due aspetti sui quali sono aperte procedure di infrazione o, peggio, siamo in sede di Corte di giustizia su richiesta della Commissione europea: la definizione autentica di rifiuto e la sistematica esclusione delle terre e rocce da scavo dal concetto di rifiuto. Tutto questo viene contestato dalla Commissione europea e ci sembrava questa una buona occasione, dopo tante discussioni e tante procedure di infrazione, per correggere la norma.

Infine, l’ultimo punto, rilevantissimo, riguarda il rifiuto incomprensibile, visto ciò che sta accadendo alla Commissione europea, di correggere l’articolo 11 e tutte le modifiche apportate alla legge Merloni dalla legge n. 166 del 2002.

Abbiamo tentato invano di correggere le attuali norme relative alla figura del promotore di un’opera pubblica, proprio sulla base di un parere motivato di condanna emesso dalla Commissione europea.

Devo dire che è abbastanza sorprendente la pervicacia con la quale Governo e maggioranza rifiutano di correggere questa norma, perché il 7 luglio – riporto il testo di un’autorevole giornale economico italiano – la Commissione europea non ha atteso nemmeno la conclusione dell’iter legislativo della comunitaria e ha deferito alla Corte di giustizia tutto il pacchetto di rilievi alla legge Merloni che la Commissione aveva individuato nel parere motivato di condanna.

Sappiamo già che non bastano le lievi correzioni introdotte dalla legge comunitaria all’articolo 11 e che tutto il pacchetto sulla legge Merloni e la normativa relativa al promotore, invece di essere oggetto di una serena valutazione e correzione in quest’Aula, sarà oggetto di un contenzioso complesso e dall’esito incerto in sede di Corte di giustizia. Avremmo preferito un ragionamento di merito anche alla luce di ciò che sta accadendo.

Ribadisco che il testo presenta luci – anche il comportamento del Ministro è stato estremamente corretto – ma anche ombre per le mancate correzioni nel recepimento di direttive, che non sono state nell’interesse dell’ambiente, della tutela della concorrenza e nella trasparenza. Per queste ragioni i Verdi si asterranno sul provvedimento.

Seduta n. 738

Martedi 15 Febbraio 2005
DONATI (Verdi-Un). Signor Presidente, questa legge comunitaria per il 2004 arriva in Senato in terza lettura, certamente in ritardo rispetto ai suoi obiettivi, ma non per questa ragione è accettabile quanto il Governo e la maggioranza hanno sostenuto in Commissione, cioè l’impossibilità per questo ramo del Parlamento di predisporre modifiche e correzioni che il testo, in realtà, richiederebbe. Basti pensare che il testo approvato dal Senato era composto di 15 articoli e che adesso gli articoli del provvedimento sono diventati 30. È evidente che siamo di fronte a notevoli innovazioni che – insisto ancora una volta – richiedono l’introduzione di modifiche, seppur rapide e misurate, al fine di arrivare a un testo migliore di quello che ci è pervenuto.

Se non fosse stato così, se ci fossimo trovati di fronte a normali modifiche del testo, non avrei avanzato questa richiesta; ma raddoppiare il numero degli articoli, inserendo importantissimi argomenti, e poi pretendere che questo ramo del Parlamento non ne discuta non mi pare accettabile.

Entro nel merito delle correzioni che i Verdi in modo insistente hanno chiesto in Commissione e chiedono anche in Aula. Parto dall’articolo 15, che reca il recepimento di una direttiva sulle norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, in nome della sicurezza (forse un po’ maldestramente agganciata a processi di liberalizzazione e di realizzazione di nuove infrastrutture), soprattutto per censurare la lettera l), introdotta insieme a tutto il testo alla Camera, che riguarda la promozione della penetrazione del nucleare, lo sviluppo e la diffusione, «anche agevolando la definizione di accordi tra imprese per la realizzazione e l’esercizio di impianti localizzati all’estero».

I Verdi sono contrari per due semplicissime ragioni. Anzitutto, per una questione normativa: la direttiva 2003/54, che sta alla base dell’articolo 15, non contempla in alcun modo il riferimento al nucleare, per cui l’inserimento nel testo di questa opportunità è completamente fuori direttiva. Quindi, la prima censura riguarda il fatto che il recepimento invoca lo sviluppo di una tecnologia, seppure all’estero, non contemplato dalla direttiva.

Si tratta di una modalità di recepimento che più volte abbiamo sottolineato: si arriva in ritardo, si elencano le direttive da recepire, ma l’adeguamento viene fatto andando fuori dallo stesso spirito delle direttive; come in questo caso. Allora, non possiamo che sottolineare la gravità di un recepimento che inserisce in modo surrettizio il rilancio del nucleare, seppure all’estero.

Una seconda valutazione, più di carattere politico, ma anche etico, è che si richiedono norme pubbliche per la promozione – non sappiamo di quale tipo di aiuti o sostegni si tratti – per sostenere le nostre imprese affinché realizzino e gestiscano tecnologie nucleari all’estero. Ora, è ammissibile che un Paese che sul suo territorio ha fatto scelte ben precise, sulla base di un referendum al quale ha dato piena attuazione, consenta alle proprie imprese, tramite aiuti e regole, di promuovere la stessa tecnologia all’estero?

A parte gli aspetti che ha già ricordato il collega Gubert, cioè promuovere oltre confine quello che non vogliamo sul nostro territorio, che è ambientalmente insostenibile ed eticamente inaccettabile, credo che siamo anche nel campo di regole che non vengono rispettate.

Il referendum aveva detto un no chiaro all’energia nucleare e tutto il dibattito successivo di attuazione degli esiti dello stesso referendum era stato impostato, da un lato, per promuovere le energie alternative al nucleare, purtroppo ancora debolmente sostenute e, dall’altro, per capire come chiedere regole (ovviamente senza interferire con le scelte energetiche di altri Paesi) e misure di tutela per tutti (ad esempio, in campo europeo), per evitare che ciò cui si è rinunciato a casa propria (anche con una bolletta energetica più cara, visto il costo del petrolio) non finisca per scaricarsi comunque in termini ambientali con meccanismi – sappiamo perfettamente tutto dopo Chernobyl – che non rispettano certo i confini nazionali.

È pertanto molto grave che, nell’ambito di una direttiva che non lo prevede e di una legge comunitaria non toccabile, si introduca surrettiziamente il sostegno al nucleare che le nostre imprese dovrebbero esercitare all’estero, quando il nostro Paese ha operato scelte diverse. Coerentemente, quindi, o si rimette in discussione quella scelta, la si discute in Parlamento e lo si fa in modo trasparente, oppure non si possono sostenere le imprese che decidono in tal senso. Sto parlando di regole e di aiuti pubblici che evidentemente saranno richiesti dall’attuazione di questa direttiva; altrimenti, non avrebbe senso neanche questo provvedimento.

Vorrei dunque censurare fortemente questa modalità di procedere, laddove un Governo non tiene conto del giudizio e del punto di vista dei propri cittadini mentre sostiene le imprese che all’estero vogliono operare scelte da noi decise in modo comune. Ritengo tale atteggiamento politicamente ed eticamente particolarmente inaccettabile. Chiedo, pertanto, che sia soppressa questa parte, non prevista, peraltro, nella direttiva di cui stiamo parlando.

Entro nel campo di altri articoli, chiedendo altre correzioni. Ad esempio, all’articolo 16 che si riferisce al gas naturale; ne ritengo positivo il recepimento all’interno di questa direttiva, ricordo però che, per quanto riguarda i criteri di delega con cui viene scritta, siamo soltanto, come al solito, nel campo della liberalizzazione. Non vengono introdotte, invece, tutte quelle regole, pur previste nella direttiva per il mercato interno, che concernono precisi impegni di servizio pubblico e vincoli di sostenibilità ambientale.

Questo, purtroppo, è un altro vizio del nostro recepimento, per cui si è soliti prendere dalle direttive gli aspetti che piacciono di più (ad esempio, i processi di liberalizzazione) senza stabilire quei vincoli di servizi pubblici e di sostenibilità che pure la stessa direttiva contiene, tra l’altro in modo integrato rispetto ad altri aspetti.

È da rilevare, inoltre, la censura concernente l’articolo 19, che riguarda la valutazione ambientale strategica, di cui alla direttiva n. 42 del 2001, già recepita in altra legge comunitaria, non attuata dal Ministro dell’ambiente.

Il termine di recepimento massimo è scaduto il 21 luglio 2004; quindi, siamo fuori tempo massimo. Intanto, piani e programmi nel campo delle opere strategiche procedono senza la necessaria valutazione di ordine strategico sulla sostenibilità di questi progetti, non visti come singole opere, ma come Piano.

Faccio un esempio: in questi giorni stiamo vedendo come le nostre città siano assediate dell’emergenza antismog. Ebbene, dovremmo valutare se costruire 2.000 chilometri di nuove autostrade, come propone la legge-obiettivo, o dare invece un sostegno attivo alla crescita del traffico motorizzato che come ” obiettivo” dovrebbe cercare di ridurre e di governare la situazione.

La VAS sarebbe lo strumento giusto per dare una valutazione di insieme sugli effetti delle politiche di Piano (in questo caso, le opere strategiche) commisurate alle altre esigenze (in questo caso, la riduzione dell’inquinamento e dello smog intorno e dentro le nostre città). Abbiamo, quindi, presentato emendamenti per far sì che il recepimento, già tardivo, sia il più rapido possibile, riducendo a tre invece che a sei mesi i termini previsti nell’articolo 19.

Vengo all’articolo 24, molto importante. Già in occasione del precedente esame del testo in questo ramo del Parlamento avevamo discusso del ruolo del promotore. L’articolo 24, introduce, tra l’altro, modifiche all’articolo 37-bis della legge Merloni (legge n. 109 del 1994) in materia di appalti e gare per la realizzazione e promozione di opere pubbliche da parte di privati.

Tali regole sono state censurate con un parere motivato dalla Commissione europea e ora si cerca, con questa norma, di mettere mano a qualche correzione che incontri il favore della Commissione stessa. Riteniamo – sulla base di quel parere motivato – che la correzione che indica che nell’avviso del bando di gara devono essere contenuti i criteri con cui poi saranno effettuate le selezioni sia ovviamente giusta e positiva; non risolve, però, di per sé le censure della Commissione europea, che ha parlato di cumulo di privilegi, in capo al soggetto promotore, inaccettabile e distorsivo ai fini della concorrenza.

Riteniamo quindi che il testo, anche così come viene corretto, dovrebbe molto più incisivamente eliminare il diritto di prelazione, lasciando gli altri due privilegi (la scelta del promotore e il diritto, comunque, a concorrere di un soggetto promotore) come meccanismi sufficienti per assicurare adeguata convenienza ad un soggetto privato che decida di candidarsi a realizzare un’opera di interesse pubblico.

Infine, voglio sottolineare un altro aspetto che ci preoccupa moltissimo, anche per quanto è accaduto in passato quest’Aula saggiamente respinse con il voto un emendamento della legge finanziaria 2003, che riguardava il caso di applicazione degli effetti del diritto di prelazione alle gare in corso.

Si lascia discrezionalità al Ministro di decidere cosa fare delle procedure in corso, senza chiarire che, come credo, avrebbe soltanto due strategie possibili: lasciar concludere le gare sulla base delle regole con cui sono state indette, oppure annullare le gare in corso e indirle con le nuove procedure, previste dall’articolo 24. Questo non è scritto e si lascia, invece, discrezionalità al Ministro.

Come ho detto, era già stata avanzata in un’altra occasione, tramite un emendamento respinto dall’Assemblea, la possibilità che la gara d’appalto di un’opera pubblica – in quel caso stavamo parlando dell’autostrada Bre.Be.Mi. – si potesse concludere con una valutazione basata sulle nuove regole senza che venisse ripetuta la gara. Quindi, la gara era stata indetta in un modo e veniva chiusa in un altro, a parte la banalità che ciò equivaleva a decidere per legge chi sarebbe stato il vincitore, sulla base di un meccanismo molto complesso ma, paradossalmente, molto semplice nei suoi effetti.

Anche in questo caso credo che la norma debba essere corretta e non debba essere lasciata questa discrezionalità: le gare o si annullano, o si lasciano concludere; non ci sono vie intermedie di procedure discrezionali che possano essere invocate.

All’articolo 24 sono state inoltre inserite alcune norme che modificano il decreto legislativo n. 190 del 2002 e le procedure per le opere strategiche previste dalla legge obiettivo. Le censure avanzate in campo europeo si riferiscono alla valutazione di impatto ambientale; tra l’altro, abbastanza singolarmente il ministro Matteoli inizialmente aveva detto che queste non lo preoccupavano affatto, poi si è affrettato ad inserire correzioni nel testo.

La più rilevante si riferisce alla richiesta della Commissione europea che, quando un progetto definitivo sia sensibilmente diverso da quello preliminare, debba essere ripetuta la procedura di valutazione di impatto ambientale, perché, purtroppo, il decreto legislativo n. 190 del 2002 non lo prevede.

Ebbene, nel testo si resta nel campo delle ambiguità, affermando che la Commissione e il Ministro, ove ritengano vi sia questa diversa valutazione del progetto, devono ripubblicare il tracciato e quindi ripetere la valutazione di impatto ambientale.

A noi pare che questo resti un testo ambiguo; abbiamo quindi presentato emendamenti in cui si prevede un preciso obbligo della ripubblicazione quando il progetto sia diverso ed indichiamo, proprio per evitare una scontata discrezionalità, una serie di parametri di scostamento tra il progetto preliminare e quello definitivo sulla cui base discende o meno la ripubblicazione.

Questo proprio per dare certezza agli operatori, agli ambientalisti, ai cittadini che la valutazione d’impatto ambientale è applicata senza discrezionalità e in ogni caso similare si procede esattamente nello stesso modo. Quindi, un testo più preciso, un testo che contiene degli obblighi e che riteniamo in questo senso soddisfi molto meglio le censure da parte della Commissione europea.

L’articolo 25 che delega il Governo al recepimento di recentissime direttive in materia di appalti, forniture e servizi in vari settori. Se da un lato è giusto un fulmineo recepimento di queste direttive, dall’altro ci preoccupa non poco il modo in cui questo sia inserito nel testo.

Si tratta, sostanzialmente, di una delega in bianco senza criteri, assolutamente senza criteri; abbiamo, perciò, presentato emendamenti volti a definire i criteri in base ai quali deve avvenire il recepimento. Riteniamo assolutamente censurabile – e chiediamo venga eliminata – la lettera b).

Il Governo si attribuisce la delega di semplificare le procedure di affidamento «che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici». È come se il Governo dicesse di volere una delega per rifare la legge Merloni, non solo sulla base delle direttive richiamate, per le quali – ripeto – non ci sono nemmeno dei criteri specifici e puntuali di delega sui quali poi misurare queste correzioni e addirittura chiedesse una delega extradirettiva per affrontare correzioni sulle procedure e sulle semplificazioni che non sono contenute nelle direttive.

Quindi, ci sembra che la lettera b) dell’articolo 25 sia davvero inaccettabile, perché si chiede una delega extra direttiva per correggere norme delicatissime in materia di appalti, forniture e servizi.

È stato inserito alla lettera d) dell’articolo 25 l’adeguamento della normativa alla sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea del 7 ottobre 2004 su una causa che si riferisce proprio alla materia degli appalti e, in particolare, all’uso o meno del massimo ribasso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Si tratta di un testo che ha sicuramente un forte impatto sulla nostra normativa e sulla sua applicazione.

Quindi, concludo sostenendo che sarebbe stato molto meglio che l’articolo 25 non fosse stato introdotto nel testo e che il Governo con un apposito disegno di legge ponesse mano alla revisione – che intende fare – della legge Merloni, in modo che il Parlamento, in modo molto corretto, appropriato e puntuale, nelle competenti Commissioni, possa svolgere una discussione molto ponderata delle modifiche resesi necessarie.

Purtroppo, invece, con questa delega il Governo si attribuisce la facoltà di modificare profondamente la legge Merloni senza che il Parlamento, a parte un parere non vincolante, sia chiamato ad esprimere il proprio punto di vista. Pertanto, abbiamo presentato emendamenti che tendono ad eliminare e correggere le distorsioni dell’articolo 25, proprio perché riteniamo che l’adeguamento della legge Merloni ad eventuali censure o nuove normative comunitarie debba essere fatto in Parlamento, non debba bypassare completamente la discussione, ma debba trovare qui radici e spunti, proprio come è stato fatto anche in occasione della legge n. 166 del 2002.

Per queste ragioni, ci auguriamo vi sia la possibilità di modificare il testo, venendo incontro alle nostre richieste.

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