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Mobilità, infrastrutture, ambiente: la transizione giusta per la sostenibilità

DPEF 2004-2007

30 Luglio 2003

XIV legislatura

Seduta n. 454

Doc. LVII, n. 3) Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2004-2007

DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, colleghi, concentrerò il tempo a mia disposizione facendo una valutazione su una questione che ha enorme peso in questo Documento di programmazione economica-finanziaria, e cioè la questione delle opere strategiche, cercando di andare oltre una lettura affrettata e poco acuta che spesso si fa, giudicando semplicemente il Governo rispetto agli annunci e quello che non starebbe facendo. Io non ho questa opinione, e credo che la valutazione del Documento di programmazione economica-finanziaria dovrebbe, viceversa, essere più calibrata su quello che sta davvero accadendo.

La prima considerazione è che il Documento di programmazione economico-finanziaria assegna una grande rilevanza alle opere di interesse collettivo, alle grandi infrastrutture, ribadendo la priorità (per la legge obiettivo, la conseguente delibera CIPE e tutto il processo che si è avviato di autorizzazione semplificata) delle grandi opere che – ricordo – equivalgono a 125 miliardi di euro nel prossimo decennio.

Si riprende e si inserisce all’interno del Documento l’ormai famoso Piano Van Miert, un insieme di grandi opere d’interesse europeo elaborato da un gruppo tecnico di alto livello; si tratta – voglio ricordarlo – non di un documento definitivo, bensì di un testo che sarà sottoposto ad un vaglio, ad osservazioni, che sarà poi valutato dalla Commissione europea (quindi non dal Consiglio dei ministri dei trasporti, diversamente da quello che ha sostenuto il ministro Lunardi) e in codecisione dal Parlamento europeo. Si tratta di un lungo iter di selezione, nel corso del quale le cose possono cambiare.

Ma non è questo l’aspetto rilevante: è che il presidente della BEI, Maystadt, ha detto chiaramente che quell’elenco (perché il Piano Van Miert è una lista) non include le risorse, mentre la questione del finanziamento deve essere risolta, in particolare da Ecofin e dalla BEI; e per questo sta lavorando il nostro ministro dell’economia Tremonti.

Quindi, anche in questo caso siamo in presenza di una lista e di un piano irrisolto dal punto di vista finanziario. Tant’è che sono note le obiezioni, ad esempio, del Governo francese, così come un Ministro tedesco ha avuto occasione di ribadire anche recentemente che di questi tempi è molto meglio investire in materia grigia piuttosto che in cemento.

Pertanto, si tratta di un piano assolutamente ancora molto incerto, allo stato embrionale, ma che comunque nel nostro DPEF viene incluso come una grande strategia d’interesse europeo, alla quale il nostro Governo – e non lo metto in discussione – sta lavorando.

Voglio contestare questa centralità dell’infrastruttura strategica ad alta intensità di cemento, perché se sono veri tutti i ragionamenti che ho sentito anche in quest’Aula sul fatto che noi abbiamo bisogno di investimenti in efficienza, in logistica, nell’orientare la domanda, in regolazione, cioè di una dinamica molto complessa (in cui certo è presente anche il bisogno di infrastrutture, anche quello), è anche vero che non possiamo immaginare il futuro del nostro Paese, anche sul piano competitivo, economico, contenuto in un piano di sole infrastrutture.

Il caso del Giappone lo dimostra: negli ultimi dieci anni questo Paese ha investito enormi risorse in grandi infrastrutture; ma tutto questo non ha rappresentato un volano per l’occupazione e ha lasciato sul tappeto enormi debiti che adesso devono essere tamponati. Quindi, non facciamo della strategia delle grandi infrastrutture una strategia vincente di prospettiva, come fa questo DPEF, perché la competizione sul piano europeo e mondiale si fa appunto con la materia grigia e non con il cemento.

La seconda considerazione riguarda la questione delle risorse finanziarie che non sono incluse, neanche come ordine di grandezza, per le opere strategiche, per le grandi infrastrutture, all’interno di questo Documento.

Voglio andare oltre questa valutazione un po’ scontata per cui le risorse non ci sono e l’opposizione dice: promettete e non fate. Credo che la valutazione debba essere un po’ più profonda.

C’è una strategia molto chiara – non un tentativo – di escludere dal bilancio dello Stato gli investimenti in infrastrutture che vale per l’Italia (e farò alcuni esempi) e anche a livello europeo, tant’è che uno degli elementi fondamentali del piano Tremonti anche all’ultima riunione dell’Ecofin è stato quello di proporre che gli investimenti in infrastrutture (quelli che dovranno essere finanziati), anche del Piano Van Miert, siano esclusi dai parametri di Maastricht, proprio perché non pesino sulla verifica dei singoli Paesi e in generale sul livello europeo di indebitamento.

Non ritengo che il Governo stia mentendo e abbia promesso fatti che non sta realizzando. Ho un’opinione diversa. Le procedure sono in corso ma il Governo sta tentando di escludere da una valutazione del bilancio dello Stato buona parte degli investimenti e questo è un atteggiamento non meno grave.

Voglio ricordare – per fare alcuni esempi – il caso di ISPA e del finanziamento dell’alta velocità, supportato anche con garanzie dello Stato future secondo la legge finanziaria dell’anno scorso, che non appare nel bilancio dello Stato né si fa una valutazione nel DPEF di che cosa ciò comporti per il nostro indebitamento.

Cito il caso dell’ANAS S.p.A., privatizzata non tanto al fine di incrementare efficienza e riorganizzazione (anche se la vicenda della proposizione dei pedaggi, che ritengo positiva, sembra un tentativo di andare in quella direzione), ma nell’immediato motivata come un tentativo molto chiaro di sottrarre dal bilancio dello Stato gli investimenti, in particolare, nel settore stradale.

Ricordo, ancora, il ponte sullo Stretto: parte della capacità evocativa della promessa della sua realizzazione deriva non solo dal valore simbolico dell’opera ma anche dal fatto che FINTECNA (ossia l’azionista di maggioranza della società) ha un gruzzoletto, conseguente all’ex liquidazione dell’IRI, equivalente a circa 2,5 miliardi di euro, che non compare in alcun bilancio dello Stato come spesa pubblica. Ma è una risorsa consistente per essere il volano di un piano finanziario che tra tariffe, indebitamenti e garanzie dello Stato, può comunque partire.

E’ ovvio che siamo molto preoccupati del fatto che vengano in tal modo sottratte significative quantità di investimenti ad una valutazione pubblica sulle priorità nel Mezzogiorno. Mi riferisco agli investimenti che dovrebbero provenire da risorse private; penso – ad esempio – alla Società autostrade, alle concessionarie come quella della Brescia-Padova, concessionarie pubbliche e private insieme agli enti locali; penso a quel meccanismo per cui la quota dell’ente locale, non rappresenta un sussidio da mettere a fronte di qualsiasi privato che si candida e che gareggia anche su quell’elemento, ma consente alle società pubbliche e private di deformare i processi di gara.

Adesso che i conti non tornano e c’è bisogno di aumentare la quota delle risorse pubbliche, si preme sui comuni, che sono gli stessi che in qualche modo chiedono di realizzare le infrastrutture, affinché aumentino la loro quota di partecipazione; quindi un’altra quota di risorse private, in questo caso locale, che non appare nel bilancio dello Stato ma deforma le scelte e gli investimenti.

C’è, quindi, un rischio, che tuttavia nel Documento di programmazione economico-finanziaria non appare. Lo vedremo nella legge finanziaria. Quei 7,5 miliardi di euro (immagino che l’ordine di grandezza sarà quello e il ministro Lunardi verrà accontentato perché, anche se di piccola entità, essi rappresentano comunque un volano formidabile) insieme a tutte le altre dinamiche che non appaiono rischiano di far partire opere con un futuro indebitamento che non viene valutato all’interno del DPEF, di cui non c’è alcuna traccia, mettendo a gara opere infrastrutturali che non sono coperte sul piano finanziario.

Il mio desiderio è dare un contributo che vada oltre il facile slogan secondo cui non state facendo niente di quello che promettete. State operando ma a spese di un indebitamento futuro, un indebitamento che viene lasciato, come tante altre questioni, alle generazioni future.

Concludo con una valutazione più generale sul fatto che puntare solo sulle grandi infrastrutture significa non investire nelle città e non parlare di una politica complessiva dei trasporti

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