XIV legislatura
Seduta n. 522
Conversione in legge del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249 (2674)
Presentazione questione pregiudiziale
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, anche i Verdi hanno presentato una questione pregiudiziale di costituzionalità che è agli atti.
Riteniamo che i requisiti di necessità e di urgenza invocati per questo decreto-legge non sussistano in quanto il messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica sul disegno di legge Gasparri conteneva l’esplicita richiesta di una nuova deliberazione del Parlamento in ordine al provvedimento che era stato approvato.
Il riesame parlamentare richiesto dal Presidente della Repubblica è puntualmente e – mi sembra – rapidamente iniziato alla Camera dei deputati. Da ciò deriva che il ricorso da parte del Governo allo strumento del decreto-legge né risponde alle richieste del Presidente della Repubblica né tanto meno si presenta necessario ed urgente.
Voglio inoltre ricordare che il decreto-legge in esame non si limita ad assicurare una proroga di termini in attesa del nuovo provvedimento ma riscrive in modo preciso l’articolo 25 del disegno di legge Gasparri che identificava la delicatissima questione del regime transitorio, al termine del quale verrà rispettata la sentenza n. 466 del 2002 che, come è noto, ha stabilito la necessità di un termine massimo, individuato nel 31 dicembre 2003, per l’adeguamento ai limiti di concentrazione nel settore radiotelevisivo.
Questa è una seconda incongruità del decreto-legge al nostro esame, il quale, se si fosse limitato a prorogare dei termini in attesa che il Parlamento decidesse definitivamente la nuova normativa nel settore radiotelevisivo, avrebbe determinato anche una sua utilità. Invece qui si è utilizzato lo strumento del decreto-legge non solo, evidentemente, per superare quel limite posto dalla sentenza della Corte (a seguito della quale – voglio ricordarlo – Rete 4 continua a trasmettere in chiaro), ma anche per riscrivere l’articolo 25 senza rispettare le stesse indicazioni del presidente Ciampi, il quale aveva ricordato che il regime transitorio era troppo lungo, secondo le modalità con cui era stato scritto nel provvedimento, e che era indispensabile accorciare i tempi rendendoli molto più certi e molto più rispettosi della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002.
Ebbene, l’articolo 1 del decreto-legge così com’è formulato (e nel testo che abbiamo consegnato sono indicate con precisione le modalità) indica tempi assolutamente analoghi a quelli dell’articolo 25 del disegno di legge Gasparri e quindi non solo il decreto-legge, noi riteniamo, è illegittimo, ma in più riscrive d’urgenza l’articolo 25, che è proprio uno di quelli censurati dal Presidente della Repubblica, ritenendo che fosse stato eluso il rispetto pieno della sentenza della Corte costituzionale.
Se vi fossero dubbi (ed è su questo che voglio concludere) sul fatto che il testo dell’articolo 1 del decreto è la riscrittura analoga dell’articolo 25, vorrei ricordare il fatto, accaduto oggi, che la Commissione di Montecitorio che sta riesaminando il disegno di legge Gasparri ha approvato, tra i vari emendamenti, un emendamento del relatore che recepisce, all’articolo 25, il testo del decreto-legge “salva reti” in via di approvazione al Senato.
Voglio sottolineare questa circostanza perché non è soltanto una valutazione di parte il fatto che ci troviamo di fronte a un decreto-legge che riscrive l’articolo transitorio con le stesse caratteristiche per cui l’articolo 25 del disegno di legge Gasparri era stato bocciato e rappresentava una delle motivazioni forti invocate dal Presidente della Repubblica per il rinvio del provvedimento alle Camere. Infatti, la stessa Commissione di Montecitorio oggi, con un emendamento del relatore, ha accolto questo testo del decreto-legge e l’ha inserito all’interno del disegno di legge Gasparri, a riprova del fatto che stiamo parlando di testi analoghi, che hanno effetti analoghi, e quindi di quel troppo lungo periodo transitorio che il presidente Ciampi ha ricordato.
Per queste ragioni, e altre che sono scritte nel testo della nostra pregiudiziale, riteniamo che questo decreto-legge non sia una semplice proroga o una misura tampone, ma sia una vera e propria norma decretata in modo illegittimo d’urgenza e che di conseguenza le stesse disposizioni contenute in questo decreto-legge siano del tutto insufficienti a garantire (come ci era stato richiesto dal Presidente della Repubblica) il pluralismo nell’informazione, secondo l’articolo 21 della Costituzione, e il principio della libera concorrenza, di cui all’articolo 41 della Costituzione stessa.
Per queste ragioni, chiediamo di non procedere all’esame del disegno di legge n. 2674.
Discussione generale.
DONATI (Verdi-U). Presidente, mi auguro che, avendo noi a disposizione 21 minuti, sarà rispettoso dei tempi.
Vorrei intervenire sul decreto-legge in esame, in particolare sottolineando tre questioni delicate. La prima di esse riguarda un tema che ho già sollevato in occasione dell’illustrazione della questione pregiudiziale, cioè quello dei tempi. Il decreto consente all’Autorità di procedere (entro quattro mesi più uno) ad un accertamento dello stato del digitale terrestre in Italia e, conseguentemente all’esito di tale accertamento, di assumere provvedimenti sulla base della legge n. 249 del 1997, articolo 2, comma 7, con i quali avviare un’istruttoria e, dopo un contraddittorio con il soggetto contestato, alla fine di adottare un provvedimento.
L’insieme di tutti questi tempi, a quanto risulta dal decreto-legge, ammonta ad un minimo di 18 mesi. Con questo provvedimento cioè, anche in caso di accertamento negativo, il regime transitorio terminerà, senza perdere alcun giorno, a metà del 2005.
In questo senso, poi, il decreto è anche particolarmente vago, dal momento che all’articolo 1, comma 2, a proposito dei tempi con cui l’Autorità può intervenire dopo l’accertamento e la relazione, non chiarisce entro quale termine debba adottare i conseguenti provvedimenti. Pertanto, i tempi che ho indicato (metà del 2005) sono riferiti ad un’applicazione assolutamente restrittiva e rigida del decreto-legge, mentre in realtà l’Autorità potrebbe anche impiegare più tempo, come è logico che possa fare.
Ciò significa che, complessivamente, il regime transitorio potrebbe durare circa due anni. Questo è pienamente in contrasto con uno dei punti definiti dal messaggio del presidente Ciampi relativo al rinvio del provvedimento alle Camere, cioè tempi troppo lunghi e, anche in quel caso, incerti per la definizione del regime transitorio di cessazione che – voglio ricordarlo – doveva concludersi in modo inesorabile, secondo la sentenza della Corte, il 31 dicembre 2003.
Quindi, questo è il primo livello di contestazione: l’articolo 25 del disegno di legge Gasparri, censurato dal Presidente della Repubblica, presenta tempi analoghi a quelli previsti in questo decreto, che riscrive il regime transitorio.
Un secondo elemento che vorrei sottolineare è rappresentato dai criteri indefiniti in base ai quali l’Autorità deve operare l’accertamento. Su tale aspetto anche il presidente Cheli ha ribadito in Commissione la necessità di individuare criteri certi anche per possibili ricorsi al giudizio amministrativo, ovviamente facilmente prevedibili per questi provvedimenti; i criteri attuali, infatti, rischiano di non reggere a quei livelli di giudizio.
La Commissione ha corretto una sola parte, stabilendo al 50 per cento il livello di copertura del territorio perché sia assolta la condizione dell’irraggiamento del digitale su tutto il territorio nazionale. In merito a tale aspetto vorrei sottolineare un ulteriore elemento di contestazione.
La norma suona come una sorta di condono non edilizio, ma delle frequenze. È difficile sostenere che la diffusione della programmazione delle attuali reti analogiche dovrà coprire il 99 per cento del territorio, come accade oggi, e che invece sarà sufficiente che la trasmissione digitale ne copra il 51 per cento per essere ugualmente compatibile e comparabile. Infatti, voglio ricordare che l’effetto pratico del decreto in esame è quello di mantenere in chiaro le trasmissioni di una rete che dovrebbe liberare le frequenze attualmente utilizzate.
Ribadisco, come ho già fatto in Commissione, che è inaccettabile insistere su un concetto che non è coerente con il principio della diffusione su tutto il territorio italiano, cioè che il 51 per cento della copertura costituisca un buon irraggiamento e che dia la possibilità a tutti i cittadini italiani di godere di una effettiva offerta aggiuntiva di canali digitali.
Inoltre, il comma 1 del decreto-legge fa riferimento alla presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili, sorvolando sulla effettiva presenza di tale strumentazione all’interno delle case. I decoder possono essere disponibili nei negozi e, allo stesso tempo, essere assenti dalle case delle famiglie italiane. Pertanto, non si accerta la condizione di effettivo incremento di utilizzo che la sentenza della Corte e, in generale, una ragionevole verifica dell’adeguamento e dell’incremento del pluralismo necessariamente contengono. Abbiamo presentato emendamenti su questo aspetto del decreto.
Infine, la normativa in oggetto è stata redatta evidentemente con apposite e artefatte finalità, in quanto stabilisce che i nuovi programmi digitali potranno essere anche diversi da quelli analogici, ma non si specifica la quota almeno percentuale di nuovi programmi che dovranno essere irraggiati sui canali digitali.
Sintetizzando, ciò significa che saranno sufficienti il 50 per cento di copertura del territorio nazionale, la presenza dei decoder nei negozi e la replica dall’analogico in digitale dei programmi attualmente già forniti ai cittadini per far sì che l’Autorità possa accertare in modo positivo la presenza di un’offerta plurima aggiuntiva di informazioni che giungono alle case dei cittadini. Riteniamo che tale artificio non si possa assolutamente condividere, in quanto sarebbe ben distante dalla realtà.
Dalle audizioni svolte, risulta indubbio che il digitale è già avviato in Italia attraverso la copertura assicurata dal sistema multiplex, ma ci è stato riferito che i decoder a disposizione dei cittadini sono nell’ordine di 120.000 unità e ben poche sono le offerte di programmi innovativi e interattivi davvero destinati alla trasmissione digitale previsti dall’attuale programmazione, assolutamente allo stato iniziale e sperimentale.
Riteniamo pertanto che il decreto-legge in esame non aiuti a risolvere la questione nel senso indicato dal messaggio del presidente Ciampi perché mantiene le stesse condizioni di elusività delle sentenze della Corte e del rispetto della Costituzione in ordine ad un’offerta aggiuntiva che rappresenterebbe da sola la condizione per far sì che chi possiede delle reti eccedenti possa restare visibile a tutti i cittadini e non solo a quelli che possiedono un’antenna satellitare.
E’, quindi, l’ennesimo modo utilizzato per aggirare i limiti posti dalla Corte, nonostante la forza con la quale la legge Gasparri, che pure è stata a lungo dibattuta in quest’Aula, è stata rinviata dal Presidente della Repubblica proprio perché incostituzionale.
E così questo decreto-legge non risolve i problemi posti e lascia indeterminate tutte le questioni che, invece, sarebbe stato opportuno discutere, come in parte faremo quando la cosiddetta legge Gasparri sarà di nuovo licenziata dalla Camera dei deputati e arriverà all’esame del Senato della Repubblica.
In questo senso, abbiamo presentato emendamenti tesi a correggere il testo del decreto-legge per far sì che i criteri e le modalità siano molto meglio precisati e, quindi, possano effettivamente costituire una seria verifica della crescita dell’offerta al cittadino e non, invece, un modo del tutto artificioso per evadere la sentenza n. 466 della Corte costituzionale. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, Mar-DL-U e DS-U).
Discussione articoli
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, una breve dichiarazione di voto su questo emendamento (1.45) del Gruppo Verdi. Sostanzialmente stiamo parlando dei decoder necessari per accedere al sistema digitale; il decreto prevede, come criterio di accertamento per l’Autorità, che sia sufficiente la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili.
Con il nostro emendamento noi chiediamo di specificare che la loro diffusione presso gli utenti sia per una quota pari ad almeno il 60 per cento della popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri; e voglio ricordare come la maggioranza abbia confermato che è sufficiente, per essere considerata rete nazionale, coprire il 50 per cento del territorio nazionale stesso.
Pertanto, ritengo non sia sufficiente accertare che il decoder sia presente a prezzi di mercato nei negozi, nei supermercati o nei centri commerciali per far sì che questo significhi automaticamente incremento del pluralismo. Credo invece sia opportuno che l’Autorità verifichi l’effettiva diffusione presso le famiglie, che devono avere questa tecnologia per accedere alla tecnica digitale.
Poiché si tratta del 60 per cento di una quota pari al 50 per cento della popolazione, stiamo comunque parlando di una quota molto bassa di cittadini italiani, di una minoranza, ma almeno si tratta di una indicazione che consente all’Autorità di fare un accertamento con qualche criterio definito.
Noi abbiamo perfettamente compreso che lo spirito del decreto è volto ad attribuire all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni enormi poteri di accertamento e poi di intervento nel caso che questo accertamento dia un esito negativo.
La stessa Autorità, audita al Senato, ha ribadito che desidera criteri certi su cui fare queste verifiche, non solo per non dare spazio a polemiche e a interpretazioni che sarebbero evidentemente, seppur collegiali, molto soggettive, ma anche perché l’intero pacchetto normativo riguardante il sistema radiotelevisivo, come noto, è sempre (anche noi lo stiamo discutendo per tale motivo) soggetto a ricorsi, a richiami, a verifiche sul piano giuridico da parte di molti operatori privati e cittadini.
Quindi, una norma di massima interpretazione, non precisata, potrebbe portare nelle condizioni di non “reggere”. Per questo l’Autorità ha chiesto di precisare criteri certi, proprio perché non siano interpretabili da alcuno in modo differente, in particolare a partire dall’autorità giudiziaria. Per queste ragioni credo che sia opportuno tale chiarimento.
Ripeto, si tratterebbe del 60 per cento dei cittadini che hanno “la possibilità di accedere” al sistema digitale (che, come ho ricordato, riguarda solo – purtroppo – il 51 per cento dei cittadini), ma credo che sia un buon sistema per consentire, dall’incrocio di queste due misure, una effettiva verifica della diffusione. Avere un prodotto nei negozi non significa aver garantito il pluralismo dell’informazione e l’accesso vero da parte dei cittadini a nuovi programmi e a nuove offerte nel campo radiotelevisivo.
Per questa ragione, chiedo anche la verifica del numero legale.
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, con questo emendamento (1.49) si chiede di precisare, tra i criteri da accertare da parte dell’Autorità garante, la quota di programmi in tecnica digitale che viene effettivamente erogata.
Il problema è che il decreto dice che si può trattare di programmi anche diversi da quelli attualmente trasmessi in tecnica digitale e, non indicando alcuna percentuale o proporzione tra quanto viene trasmesso attualmente e quanto può essere ritrasmesso in tecnica digitale, ci potremmo trovare – e ci troveremo purtroppo – nelle condizioni di avere programmi che sono l’esatta replica, in diretta o in differita non è rilevante, degli stessi programmi analogici in tecnica digitale.
Con l’emendamento chiediamo sia chiarita la quota, la proporzione tra programmi già trasmessi in via digitale, che secondo noi devono essere intorno all’80 per cento, e repliche di programmi attualmente in analogico, che non devono superare il 20 per cento.
Il senso della nostra proposta è evitare che, alla fine, invece di avere un incremento effettivo dell’offerta di servizi e programmi al cittadino che la tecnica digitale – lo voglio ricordare – invoca come elemento decisivo della sua esistenza, si abbia in realtà una grande truffa per il cittadino.
Abbiamo già definito che solo il 50 per cento dei cittadini potrà ottenere questo segnale, che sarà sufficiente che il decoder sia presente nei negozi e non nelle case dei cittadini, e infine che le nuove reti digitali trasmettano al cento per cento gli stessi programmi che attualmente vengono trasmessi in tecnica analogica. Capite bene che sarebbe difficile, se tutto questo accadesse, identificare quella quota di innovazione, di ampliamento delle opportunità, di nuovi contenuti plurali destinati al cittadino che il digitale promette fin dalle sue origini, e soprattutto oggi all’interno di un processo molto complesso e delicato di verifica dell’uso delle frequenze e delle posizioni dominanti.
Per queste ragioni, riteniamo che specificare la quota di nuovi programmi che devono essere esclusivamente in tecnica digitale sia un elemento di certezza e di garanzia rivolto ai cittadini che acquisteranno un decoder con la sicurezza che non vedranno gli stessi programmi che attualmente vedono in digitale, perché si tratterà sicuramente di nuova offerta.
Il senso dell’emendamento è questo, e chiediamo la verifica del numero legale.
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, vorrei illustrare alcuni emendamenti che afferiscono a diversi commi dell’articolo 1.
Inizio con l’emendamento 1.12, in cui si precisa meglio rispetto al testo che l’accertamento dell’Autorità, al fine ovviamente di rispettare pienamente la sentenza n. 466 del 2002, deve essere effettuato alla data del 31 dicembre 2003. Questo non esclude ovviamente che l’Autorità possa dare dei suggerimenti su quanto accaduto successivamente, ma è importante, per il pieno rispetto della sentenza della Corte costituzionale e del messaggio del presidente Ciampi, che l’Autorità riceva questa indicazione, che invece nel decreto non è contenuta.
L’emendamento 1.18 riguarda i criteri di valutazione in base ai quali si farà l’accertamento da parte dell’Autorità. Con esso noi chiediamo di sostituire il 50 per cento della popolazione, attualmente previsto dopo la discussione in Commissione con un emendamento della stessa (il decreto-legge originario non prevedeva nessun riferimento), con l’80 per cento e di ricomprendere tutti i capoluoghi di provincia.
Avendo questo accertamento sull’incremento di offerta al cittadino di pluralismo informativo una grande rilevanza al fine delle decisioni (ad esempio, sul rispetto delle reti in eccedenza o sulla liberazione delle frequenze) sarà bene chiarire tale aspetto, ed anche trovare una logica d’insieme, cioè quella secondo la quale soltanto una rete che copra almeno l’80 per cento della popolazione, e che comunque copra tutti i capoluoghi di provincia, può definirsi una rete nazionale, quindi può essere conteggiata e comparata con le reti esistenti oggi, che coprono il 90-95 per cento della popolazione (la RAI arriva al 99 per cento).
Ancora, l’emendamento 1.45 riguarda la questione dei decoder. Noi riteniamo che il fatto che nei negozi, sul mercato, siano presenti i decoder non significa che i cittadini ne siano possessori. Pertanto, chiediamo di correggere il punto b), specificando che almeno il 60 per cento dei cittadini raggiunti dal digitale terrestre, cioè che sono nelle condizioni di riceverlo a casa propria, sia in possesso del decoder e dunque che, oltre all’emissione del segnale, vi sia anche un’effettiva quota di cittadini che lo riceve perché si è dotata della tecnologia appropriata per riceverlo. Il fatto che il decoder sia – come dice il decreto – semplicemente presente a prezzi accessibili sul mercato non ci sembra una garanzia sufficiente.
L’emendamento 1.49 riguarda l’incremento di offerta in termini di programmi. Secondo il testo del decreto così com’è scritto, potrebbe semplicemente accadere che si traspongano i programmi analogici in trasmissione digitale, perché non si indica una quota percentuale di nuovi programmi che la nuova offerta dovrà contenere. Noi con quest’emendamento chiediamo di chiarire questo elemento e di prevedere che almeno l’80 per cento di nuovi programmi dovrà essere specifico per la tecnica digitale.
L’emendamento 1.77 chiarisce che, nel caso l’Autorità nella valutazione in ordine alla diffusione del digitale terrestre accerti una situazione negativa e debba adottare dei provvedimenti, questi debbano comunque essere adottati entro e non oltre il 30 maggio 2004, visto che il decreto da questo punto di vista non definisce alcun termine. So che in Commissione il testo complessivo del decreto è stato interpretato – ma a parole – in senso restrittivo e che il termine sarebbe questo, ma allora credo nulla osti al fatto di accogliere l’emendamento 1.77 dei Verdi.
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, vorrei fare una dichiarazione di voto per spiegare il senso di questo emendamento (1.8). Con esso si chiede di innalzare dal 50 all’80 per cento la quota della popolazione che deve essere raggiunta dal segnale digitale e che essa comprenda tutti i capoluoghi di provincia. Questo al fine di equiparare, noi riteniamo in modo corretto, le attuali reti ritenute nazionali, che devono coprire oltre l’80 per cento – questo dice la normativa – e quelle che utilizzano il segnale digitale, alle quali invece, secondo questo decreto, basterebbe coprire il 50 per cento della popolazione per essere ritenute nazionali.
In questo modo si creerebbe un’enorme disparità tra il sistema analogico e quello digitale e non c’è alcuna certezza che sarebbero raggiunti tutti i capoluoghi di provincia, come l’emendamento presentato dai Verdi che fra poco voteremo invece propone.
È legittimo ovviamente lavorare per l’incremento e la verifica del confronto tra analogico e digitale, in modo da capire se effettivamente si offrono maggiori opportunità informative ai cittadini e su questo misurare gli atti conseguenti. Secondo le norme che ci si accinge ad introdurre, invece, si misurerà una rete nazionale che adesso copre oltre l’80 per cento della popolazione (nel caso della RAI preciso che si tratta del 99 per cento del territorio italiano) con un segnale digitale per il quale basterà raggiungere il 50 per cento della popolazione. Tra l’altro, nel corso delle audizioni in Commissione abbiamo appreso che questo sforzo è già stato fatto e quindi l’esito sarà banalmente positivo, perché i multiplex localizzati già consentono questo risultato.
Si tratta, quindi, di una sorta di condono delle frequenze, nell’ambito del quale i vecchi operatori sono tenuti a rispettare determinate regole laddove le nuove reti digitali potranno coprire soltanto il 50 per cento della popolazione italiana. Chiunque parli di interesse nazionale o, in generale, di informazione deve poter giungere a tutti i cittadini italiani, non si può sostenere che superare il 50 per cento della popolazione significa disporre di una rete di livello nazionale. Si tratta di una rete che raggiunge una parte dei cittadini, non certo l’intero territorio nazionale.
Per questa ragione, chiedo nuovamente che vengano rispettate le regole e che tutti gli operatori vengano messi nelle stesse condizioni, facendo in modo che tutti i cittadini siano effettivamente raggiunti da un segnale digitale, senza tenere artificiosamente bassa la quota di cittadini che possono accedere al digitale soltanto al fine di salvare una rete. Questo, infatti, è al momento il senso del provvedimento al nostro esame, non l’interesse dei cittadini o il pluralismo dell’informazione. Si adegua la norma a ciò che è avvenuto nella realtà, per far sì che l’accertamento risulti positivo in modo artificiale.
Prima di votare questo emendamento, chiedo che sia verificata la presenza del numero legale.
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, con l’emendamento 1.89 si vuole soddisfare la precisa richiesta dell’Autorità di disporre di tutte le misure che la legge Maccanico consente per intervenire nel caso di superamenti dei limiti in termini di quota dominante o di eccedenze nel settore delle reti.
Voglio ricordare infatti che il decreto dà all’Autorità la possibilità di intimare all’operatore privato la dismissione di una rete nel caso sia eccedente anche dopo l’accertamento della verifica del digitale terrestre, ma non le consente di utilizzare anche altre norme (in particolare, i commi 6, 7 e 11 dell’articolo 3 della legge n. 249 del 1997). Voglio ricordare che tali norme consentono di scegliere il trasferimento sul satellite rilasciando le frequenze analogiche occupate e, alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, di rinunciare ad avvalersi di risorse pubblicitarie su una delle sue reti.
Dico questo perché l’Autorità ha ritenuto troppo limitante, in ordine ai suoi poteri, già previsti dalla legge, il riferirsi esclusivamente ad uno strumento sanzionatorio, quello dell’obbligo di dismissione, senza avere la possibilità, anche in contraddittorio con l’operatore privato che si trovasse in determinate condizioni, di discutere insieme con lui la scelta più opportuna in termini di soluzione e quindi di rispetto dei limiti alle posizioni dominanti.
Quindi, in questo senso non è un emendamento pericoloso, ma un emendamento che chiarisce meglio le opportunità sanzionatorie che già l’Autorità ha, allargandone però la possibilità al fine di mettere la stessa, ma anche l’operatore privato, nelle migliori condizioni per svolgere il proprio lavoro.
Per queste ragioni, prima di procedere alla votazione del’emendamento, chiedo anche la verifica del numero legale.
Seduta n. 523
mercoledì 28 gennaio 2004
Dichiarazione di voto.
DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, colleghe e colleghi, i Verdi esprimono un giudizio negativo su questo decreto-legge che oggi la nostra Assemblea si accinge a votare, perché riteniamo che non si tratti di un semplice decreto che sospende dei termini in attesa della nuova discussione sul disegno di legge Gasparri a seguito del rinvio alle Camere adottato dal Presidente della Repubblica nel dicembre scorso.
In realtà questo è un decreto che riscrive in modo preciso l’articolo 25 di quella legge, definendo i tempi e i modi della cessazione del regime transitorio con le stesse caratteristiche e con gli stessi criteri che sono stati censurati dal Presidente della Repubblica.
In questo senso, non si tratta di una semplice proroga di termini, ma di un decreto-legge pieno di contenuti, che non rispetta le stesse indicazioni del Presidente della Repubblica, il quale aveva giudicato negativamente i tempi incerti e comunque troppo lunghi in cui si prevedeva la cessazione del regime transitorio per passare al pieno rispetto della normativa e delle sentenze della Corte costituzionale, ultima delle quali è la n. 466 del 2002. Ciò che vogliamo censurare con il nostro voto negativo è che si sia colta l’occasione di un rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica per proporre un decreto che su tre punti fondamentali, dallo stesso censurati, ripropone esattamente gli stessi contenuti.
Il secondo elemento di critica riguarda le modalità di adozione del decreto, che secondo noi sono inadeguate ad effettuare un rigoroso accertamento dello stato dell’informazione, in particolare se vi sia stato o meno, (è questo lo scopo dei compiti attribuiti all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) sulla base della verifica dell’estensione reale del digitale terrestre, un incremento dell’offerta e quindi del pluralismo nell’informazione destinata ai cittadini, unico elemento che avrebbe potuto e potrebbe costituire una svolta rispetto alla sentenza della Corte sopracitata, secondo la quale al 31 dicembre 2003 ogni regime transitorio sarebbe dovuto terminare.
Non siamo soddisfatti dei criteri, perché il Governo in quest’Aula ha sostanzialmente confermato ciò che era, fatta eccezione per l’inserimento della definizione della quota di cittadini che dovranno essere coperti dal digitale, che si è fermata al 51 per cento. Riteniamo che un sistema tecnologico che copre sul piano dell’offerta il 51 per cento del territorio nazionale non possa essere definito rete nazionale né paragonato alle attuali reti analogiche che trasmettono su scala nazionale.
Purtroppo il provvedimento consente questa disparità sanando artificiosamente i criteri per verificare la presenza del digitale al fine di dimostrare che, essendo in presenza di un’offerta già presente e plurima, si può procedere al superamento della citata sentenza n. 466 della Corte costituzionale. Allo stesso modo, non crediamo che la presenza dei decoder, sul mercato, ma non nelle case dei cittadini, rispetto ai quali non si è voluta fare la verifica, possa costituire elemento di certezza per l’Autorità sul fatto che gli stessi cittadini siano effettivamente in possesso delle tecnologie per usufruire di un sistema tecnologico innovativo.
Voglio ricordare che anche il problema dei nuovi programmi digitali – è questo il vero elemento di svolta che sarà determinato dal digitale – è stato affrontato in modo artificioso, perché basterà replicare in digitale gli attuali programmi analogici per dimostrare che si opera nel pieno rispetto dell’incremento dell’offerta, e conseguentemente ridefinire le quote di mercato senza violare le sentenze della Corte.
Un sistema artificioso e debole, quindi, che consentirà all’Autorità di procedere a questo accertamento sull’estensione del digitale terrestre. Potremo trovarci, ovviamente, in due condizioni, comunque tutte favorevoli agli attuali operatori privati che si trovano in un regime di autorizzazione e non di concessione. In primo luogo, l’accertamento per questa artificiosa indicazione di criteri potrebbe risultare positivo, falsando così la realtà dei fatti nel caso in cui i canali digitali su scala nazionale accessibili da cittadini provvisti di decoder non corrispondano alla realtà (ripeto: i criteri potrebbero indurre l’accertamento in questa direzione perché sono deboli e indeterminati). In secondo luogo l’Autorità potrebbe, con una valutazione un po’ più realistica e forse rigorosa, emettere un esito negativo nella sua relazione.
Comunque, anche in questo secondo caso l’Autorità dovrà dare all’operatore un tempo di almeno dodici mesi per adeguarsi alle nuove regole e al sistema sanzionatorio che l’Autorità stessa, al termine di questo accertamento negativo, dovrebbe indicare. Questo significa che stiamo parlando di un regime transitorio che potrebbe durare circa due anni da oggi. Questo significa anche che le indicazioni del presidente Ciampi, il quale aveva definito troppo lungo e troppo incerto il termine del regime transitorio, sono disattese, dal momento che quello stesso termine viene pienamente riproposto all’interno di questo decreto-legge. Infatti, per come il provvedimento è stato scritto, e nonostante quelle lievi correzioni adottate dalla Commissione prima e dall’Assemblea del Senato poi, si lascia – ripeto – un tempo enorme a questo regime transitorio.
Quindi, lo si fa non solo in modo inopportuno con un decreto-legge, invece di mantenere la discussione di questo tema all’interno della cosiddetta legge Gasparri che, ovviamente, arriverà nelle Commissioni e nell’Aula di questo Senato dopo che la Camera lo avrà approvato, ma anche riproponendo quegli stessi contenuti che non sono stati censurati dal Presidente della Repubblica. Quindi in modo artificioso, sia nel metodo che nel merito, si ripropongono, come ho già detto, dei contenuti già ritenuti inaccettabili dal Presidente della Repubblica, e comunque in violazione della sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale, che aveva indicato un termine ultimo, il 31 dicembre 2003, in cui il regime transitorio doveva cessare.
Queste sono le ragioni di merito e di metodo che inducono il Gruppo dei Verdi ad esprimere un parere negativo su questo decreto-legge alla nostra attenzione.